venerdì 30 dicembre 2011

Le “piramidi bosniache” di Visoko - Wikipedia vergogna infinita

Chi nutrisse ancora qualche dubbio sul fatto che Wikipedia sia diventato ormai il “braccio armato” del CICAP può sempre consultare la loro pagina sulle famose “piramidi bosniache” di Visoko, che rappresentano uno dei più affascinanti misteri nella storia dell’archeologia mondiale.

Ecco i paragrafi iniziali con cui Wikipedia presenta l’argomento: “In Bosnia, nei pressi di Sarajevo, esiste un complesso collinare naturale di aspetto piramidale, più volte portato alla ribalta per le teorie di Semir Osmanagić, che suppone esse siano di costruzione umana. Inoltre le fa risalire addirittura a 12.000 anni fa. Gli scienziati hanno criticato le autorità bosniache che avevano incoraggiato queste asserzioni affermando che questa è una frode crudele nei confronti di un pubblico fiducioso e non trova posto nel mondo della vera scienza. Tutte le indagini scientifiche infatti concludono che le "piramidi" altro non sono se non formazioni naturali e non c'è traccia in esse di intervento umano.”

A questo punto un lettore poco esperto deciderebbe che si tratta solo di un pacco dozzinale, e abbandonenerebbe probabilmente la lettura senza nemmeno arrivare fino in fondo. Dopotutto – penserà - se lo dice una “enciclopedia”, che si tratta di una frode, sarà sicuramente così.

Quelli più smaliziati invece avranno già notato alcuni dei più classici indizi del modus operandi cicappino. Primo fra tutti, spicca il ripetuto riferimento agli “scienziati” e alla “vera scienza”, alla quale soltanto loro sembrano poter accedere, esattamente come il prete sull’altare “parla con Dio” e poi ci fa gentilmente sapere che cosa avrebbe detto. Nè poteva mancare il più classico travestimento del “missionario cicappino”, ...


... e cioè la generosità con cui costoro si ergono sistematicamente a difensori del “pubblico fiducioso”, per proteggerlo dalle mille “frodi crudeli” che lo minacciano da ogni lato. C’è poi una clamorosa petitio principii (la fallacia con cui si introduce già nella premessa la tesi che si vuole dimostrare), quando ci viene detto che si tratta di un “complesso collinare naturale di aspetto piramidale”, mentre è proprio sul fatto che sia “naturale” che ruota l’intero dibattito. Non manca infine un altro classico di marca cicappina, e cioè l’uso intenzionale dell’esasperazione – “le fa risalire addirittura a 12.000 anni fa” – per rafforzare già in partenza, nel lettore meno preparato, l’idea che la tesi da smontare sia comunque inaccettabile.

Avete visto quanto veleno si riesce a nascondere all’interno di poche righe innocenti, dipingendosi nel contempo come eroici difensori della verità?

Se invece il lettore provasse a verificare di persona i link forniti da Wikipedia a supporto di queste affermazioni, scoprirebbe che siamo di fronte alla solita cortina fumogena, fatta di argomenti circolari e di parole vuote, il cui vero scopo è proprio quello di nascondere una ennesima verità scomoda. (Scomoda per i mostri sacri dell’archeologia ufficiale, in questo caso).

Partiamo dal primo link [#4] e scopriamo che gli scienziati che “hanno criticato le autorità bosniache … affermando che questa è una frode crudele nei confronti di un pubblico fiducioso e non trova posto nel mondo della vera scienza”, sono sette archeologi appartenenti a diversi istituti nazionali europei, che non offrono la minima documentazione a supporto di quanto dicono, mentre sembrano essere tutt'altro che disinteressati alla faccenda delle piramidi: lamentano infatti in modo quasi puerile che gli scavi di Visoko siano “uno spreco delle scarse risorse che avrebbero un uso decisamente migliore nella protezione del vero patrimonio archeologico, distogliendo l’attenzione dai pressanti problemi che affliggono quotidianamente gli archeologi professionisti della Bosnia-Herzegovina.”

In altre parole, siamo davanti al classico scontro fra gruppi diversi che si contendono i già miseri finanziamenti pubblici disponibili per gli scavi archeologici in qualunque parte del mondo. E queste persone, pur di mettere mano ai fondi che erano stati destinati agli scavi di Visoko, non hanno estitato ad accusare di “frode crudele” chi li stava portando avanti, senza naturalmente poterlo dimostrare.

Chissà perchè, si sente una strana aria di casa.

La seconda “fonte scientifica” di Wikipedia (#5) porta ad un sito che sembra la homepage di un trucido videogame ispirato al "Nome della rosa". E’ vero che l’abito non fa il monaco, e che non bisognerebbe mai fermarsi alle apparenze, ma se vai in giro a predicare travestito da Fata Turchina non lamentarti se poi non tutti ti prendono seriamente. In ogni caso, il link suddetto ci conduce alle pagine stampate della rivista con lo stesso nome. A pagina 6 della rivista compare un articolo intitolato “Pyramids no more” (”Non più piramidi”, o qualcosa di simile), firmato da un certo Robert Schoch, che viene presentato nel sottotitolo come “geologo della Sfinge”. Nulla di più. Se poi si visita il suo sito, beh… il commento in questo caso fatelo voi. Diciamo solo che se un sito del genere fosse stato presentato come "fonte scientifica" da parte nostra, gli amici di Attivissimo ci avrebbero fatto sopra un vero e proprio Carnevale di Rio.

In ogni caso, fedeli al motto “si discutono le idee e non le persone”, leggiamo l’articolo fino in fondo, e scopriamo che non contiene assolutamente nulla che possa essere considerato anche solo lontanamente “scientifico”. Schoch dice semplicemente che dopo aver visitato la località di Visoko “lui e la sua collega non sono riusciti a trovare nessuna piramide di origine umana”, che si tratta di “formazioni naturali”, e che “solo un occhio inesperto potrebbe confondere certe strutture semi-regolari, che sono state causate da stress naturali della roccia, per una pavimentazione di origine umana".

In ogni caso, ci assicura Schoch, una “analisi geologica ha rivelato che siano formazioni chiaramente naturali”. Ovviamente di questa analisi geologica non si vede la minima traccia, mentre vorremmo ricordare che le formazioni che solo un occhio inesperto può confondere con pavimentazione di origine umana sono queste:



Avete visto che miracoli riescono a fare certe volte gli "stress naturali della roccia"? (Quasi quasi conviene affidare a loro la costruzione della nuova statale Jonica). Queste invece sono antiche palle di neve che debbono essersi congelate mentre rotolavano a valle. (Qui la serie completa delle fotografie).

Potremmo continuare, ma davvero non ne vale la pena. Lo “standard scientifico” di Wikipedia rimane sempre quello, mentre l’aria stantìa da tinello cicappino rischia di dare molto presto il voltastomaco.

Concludiamo segnalando ai nostri amici di Wikipedia che un gruppo di professori dell’Universtà di Trieste ha condotto delle vere ricerche scientifiche a Visoko, concludendo che si tratti di colline “rimodellate dalla mano umana”, "più antiche delle piramidi egizie", con diverse terrazze artificiali, probabilmente adibite a giardini pensili, e con svariati “manufatti” che la datazione al radiocarbonio, almeno in un caso, fa risalire a 10.350 anni fa.

Anzi, scusate, “addirittura” a 10.350 anni fa.

Massimo Mazzucco

Il nostro articolo sulle piramidi bosniache, datato 2007. Persino noi siamo stati più “equilibrati” di Wikipedia, spingendoci al massimo a dire “se le piramidi della Bosnia venissero confermate come tali”.

(Grazie a MENPHISX per la segnalazione).

fonte: www.luogocomune.net

giovedì 29 dicembre 2011

NATALE PAGANO




DI ALESSIO MANNINO alessiomannino.blogspot.com

Il Natale non fa tutti più buoni: fa tutti più vuoti. Il cristiano che fa shopping di regali e strenne natalizie rappresenta un caso di sdoppiamento della personalità: in tutta buona fede crede che Gesù nacque figlio di Dio a Betlemme, segnando in una stalla lo spartiacque decisivo della storia umana; contemporaneamente, è perfettamente cosciente che tale evento non condiziona la sua vita reale, in quanto l’epoca moderna, disincantata e secolarizzata, è scristianizzata. Siccome l’economia tende a inglobare ogni forma di espressione umana, quegli appuntamenti che nonostante tutto mantengono in vita una sia pur debole fiammella di fede ultraterrena si trasformano in orge di bancomat e scontrini.

Babbo Natale e l’albero dei doni, americanizzazioni di antichi miti pagani europei, vincono sul Bambinello e sulla Vergine, perché più adatti a innescare la corsa agli acquisti commerciali.
Questo lo sa benissimo anche il devoto che va alla messa notturna del 25 dicembre, e lo accetta di buon grado. Per quieto vivere, perché così fanno gli altri, per abitudine. Ma soprattutto perché, dopo due secoli di sistematica estirpazione del sacro dall’esistenza quotidiana, non riesce a percepire il divino. E lo sostituisce malamente con una fedeltà a riti di massa che non sono morti solo perché una parvenza di tradizione spirituale serve ad appagare il bisogno innato di trascendenza e di comunità. E’ la sensazione di una notte, sia chiaro. Per il resto c’è la carta di credito.

Eppure quel bisogno preme, non si dà pace, è insoddisfatto. Non è umanamente sostenibile una religiosità circoscritta a qualche giornata di contrizione ipocrita, o, bene che vada, alla particola domenicale. E’ nelle difficoltà di ogni giorno che al comune ateo travestito da credente manca la forza rassicurante e rigenerante del divino, del numinoso. L’aura sacra che un tempo avvolgeva ogni momento del nostro passaggio sulla terra si è eclissata, scacciata con ignominia dalla spasmodica ricerca di ritrovare in tutto una causa dimostrabile.

La morte di Dio ci ha lasciati soli con una tecnica scientifica che ha razionalizzato la natura mortificandola, e con una logica economica che va per conto suo, incontrollata e disanimata, rubandoci la libertà di cambiare il corso della storia. Siamo soli col denaro, vero nostro Signore. Dice bene Sergio Sermonti, scienziato anti-scientista – un apparente ossimoro che gli è costato l’ostracismo pubblico: «Come insegnava Goethe, non dovremmo chiederci il perché ma il come delle cose. Nel chiedere il perché c’è un tacito presupposto che dietro ogni cosa ci sia un’intenzione, un proposito (appunto, un “perché”) e quindi che ogni cosa sia scomposta o scomponibile in fini e strumenti, o mezzi di produzione, come un’azienda umana. Sotto tutto questo c’è una sottile mentalità ottimistica, economicistica, produttivistica. No. Il mondo opera su un’altra dimensione, galleggia nell’eterno, è sospeso nell’infinito, ed è per l’appunto questo spostarci nelle sue dimensioni incantate il più raffinato e prezioso risultato della conoscenza, e non, al contrario, quello di rovesciare il mondo ai nostri piedi» (“L’anima scientifica”, La Finestra, Trento, 2003).

Per recuperare il senso del divino, il cristianesimo ormai serve a poco. E’ troppo compromesso con la modernizzazione, essendosene spesso lasciato usare come puntello e bandiera. Le Chiese sopravvivono nell’acquiescenza allo stile di vita radicalmente anticristiano dell’uomo consumato dai consumi. In particolare i Papi, incluso l’ultimo, il tradizionalista Ratzinger, si sono arresi a Mammona, e non c’è un prete a pagarlo oro che si scagli contro i moderni mercanti nel tempio: preferiscono i facili anatemi sulle unioni omosessuali e le comode prediche sulla fame in Africa. Il cristiano ha dimenticato il pauperismo di San Francesco d’Assisi, ha rinnegato l’umanesimo dei pontefici rinascimentali, ha sepolto l’antimodernismo del Sillabo, con Lutero e Calvino è stato all’origine stessa dell’etica capitalistica. Si è adattato al materialismo con il Concilio Vaticano II e allo showbusiness con Giovanni Paolo II: rinunciando alla lotta contro il mondo, non costituisce nessuna minaccia per il MacWorld. Anzi gli fa da angolo cottura spirituale.

Da chi o da cosa, allora, può venire un aiuto per liberare la divinità prigioniera che scalpita dentro di noi? L’ostacolo viene dal fatto che il cosiddetto progresso, scomponendo razionalmente la natura e violentandola nell’insaziabile tentativo di piegarla, l’ha resa muta e l’ha eliminata dalla nostra esperienza quotidiana. Da un lato non ci fa più alcuna paura, la paura ancestrale che è il moto d’animo originario di qualsiasi cultura. Dall’altro l’elemento naturale, incontaminato o non del tutto antropomorfizzato (com’erano ancora le vaste campagne nell’Ottocento e nel primo Novecento) si è via via ristretto e diradato. E’ letteralmente scomparso dalla nostra vista.

Oggi la stragrande maggioranza della popolazione mondiale vive concentrata come formiche in centri urbani sovraffollati, dove il verde è rinchiuso in minuscole riserve talmente artificiose che la regola è di non calpestare le aiuole. I bambini non fanno più conoscenza con la terra perché non ne hanno più sotto casa, non s’incuriosiscono scoprendo insetti e animali perché abitano circondati dal cemento e non si sporcano nemmeno più, perché passano il tempo ipnotizzati davanti a computer, televisione e videogiochi. Nei weekend o in vacanza le famigliole si recano diligentemente al mare o in montagna, ma a parte qualche bagno o escursione, inquadrati in ferie organizzate a puntino con tutti i comfort, il contatto con le forze naturali è minimo, povero, addomesticato. Sempre insufficiente a resuscitare una risonanza interiore fra l’io individuale e il cosmo, fra il sentimento della propria limitatezza personale e il sentimento di appartenere al tutto, all’organismo della vita. E’ in questa corrispondenza che si può provare la percezione che in un orizzonte, in un albero, in un filo d’erba, in un soffio di vento, in ogni singolo nostro respiro esista un’anima, cioè un dio. Ma se non si sperimenta in sé questa immediatezza, anche il discorso più ispirato resta lettera morta, una pia intenzione romantica.

La gioia im-mediata di sentirsi partecipe di un grande Essere ci è preclusa dal sovraccarico di costruzioni mediate, razionalistiche, cervellotiche e meccaniche con cui abbiamo imparato a guardare e toccare ciò che ci circonda. Questa è la malattia che ci portiamo addosso: l’eccesso di ragionamenti che desertifica il nostro bosco profondo. L’uomo scettico e che la sa lunga ha orrore della naturalità nuda e pura, e se non può manipolarla con la sua scienza maniacale e coi suoi aggeggi tecnologici, la respinge, dipingendola come un caos di animalità bruta e senza controllo. Ma basta uno tsunami, un terremoto o l’esplosione di furia omicida (anche questa è “natura”) per rendergli la pariglia e mostrargli che Madre Terra, vilipesa e umiliata, è sempre lì, pronta a risvegliarsi.

Scegliere consapevolmente di risvegliarla non è possibile, per ora, nemmeno nel privato del proprio foro interiore. Il salto è accessibile solo a una condizione, oggi impraticabile a livello di massa: il ritorno a un sistema di vita più semplice e scandito dai ritmi naturali. Eppure, se tu che mi leggi non cominci almeno a porti il problema, l’impossibile resterà impossibile per sempre.

da: www.comedonchisciotte.org
Alessio Mannino
Fonte: http://alessiomannino.blogspot.com
Link: http://alessiomannino.blogspot.com/2011/12/natale-pagano.html
22.12.2011

FALSE EVIDENZE SULLA POPOLAZIONE MONDIALE













DI GÉRARD-FRANÇOIS DUMONT Le Monde Diplomatique

Demografia, quanti luoghi comuni si pronunciano nel tuo nome...

"L'umanità ha un tasso di natalità senza freni." No, perché da parecchi decenni dovunque i tassi di natalità diminuiscono decisamente, sotto l'effetto di ciò che quello che viene chiamata "transizione demografica" (vedere il glossario), un periodo durante il quale una popolazione vede abbassare una natalità e una mortalità dapprima molto elevate.

"Bisogna temere una vera esplosione demografica." La cosa ci rassicura: la bomba non scoppierà. Il fenomeno più importante del XXI secolo non sarà la crescita veloce della popolazione, ma il suo invecchiamento.

"Vivremo su una Terra schiacciata dalla sovrappopolazione." No, di nuovo, perché la concentrazione umana su piccoli territori, indotta dall'urbanizzazione, provoca lo spopolamento di altre regioni.

"Le ondata migratoria Sud-Nord ci sommergeranno." Questo significa ignorare che le nuove logiche migratorie generano movimenti in tutti i sensi, tra cui le molto importanti migrazioni Sud-Sud.

Tutto sommato, la "popolazione mondiale" non esiste: è un aggregato senza significato, un conteggio di realtà così differenti da rievocarci capre e cavoli. La Guinea e il Portogallo hanno praticamente lo stesso livello di popolazione, rispettivamente 10,8 e 10,7 milioni di abitanti (1). Bisogna dedurre che questi due paesi occupino un posto analogo nella demografia mondiale? Per confermarlo, ecco tutti gli indicatori divergenti: il tasso di incremento naturale della Guinea, per esempio, è largamente positivo (+3%), quello del Portogallo negativo (-0,1%).

Presentare gli indicatori demografici della popolazione mondiale significa cancellare le dinamiche particolari: quelle di paesi ad alto tasso di natalità e bassa speranza di vita, come il Niger ed il Mali, o quelle di paesi in cui il tasso di natalità è così debole che non compensa quello di mortalità, come in Russia o in Giappone. Nel caso nipponico, il rialzo sensibile della mortalità negli anni ‘00 non è dovuta a pratiche mortifere o al deterioramento del sistema sanitario, ma solo all’invecchiamento. La situazione in Russia è ancora differente (leggere “La Russia sulla via dello spopolamento”).

Il mondo è composto da popolazioni differenti, che hanno indicatori demografici differenti e modalità di popolamento differenziate, come ci mostrano le straordinarie variazioni della densità, dai 1.141 abitanti per chilometro quadrato nel Bangladesh ai 5,9 in Gabon. Quindi, considerare l'aggregato medio di questa varietà è una condanna alla cecità.

Il XX secolo è stato testimone di un'evoluzione senza precedenti: la popolazione della Terra si è quadruplicata, di 1,6 miliardo di persone nel 1900 a 6,1 miliardi nel 2000. Questa crescita deriva dalla comparsa di tre fenomeni. Fin dalla fine del XVIII secolo, alcuni paesi dell'emisfero Nord avevano iniziato a conoscere un abbassamento della mortalità (infantile, infanto-adolescente e materna che, nel XIX e poi nel XX secolo, si è diffusa ai paesi del Sud: in India, ad esempio, a partire dagli anni ‘20). Le ragioni: gli sviluppi della medicina e della farmacia, la diffusione di comportamenti igienici e il progresso tecnico agricolo avendo permesso un'alimentazione più regolare e più variata.

In due secoli, la quota dei neonati morti prima del compimento del primo anno di età si è abbassata mediamente dell’80% nel mondo, ma si era ridotta di cinquanta volte nei paesi più evoluti. La mortalità dei bambini e degli adolescenti è diminuita in modo ancora più forte, come quella delle donne incinte, con una modifica della bilancia dei sessi: il sesso cosiddetto "debole" è diventato demograficamente più forte.

Le persone vecchie vivono peraltro per molto più tempo, grazie al miglioramento, dagli anni ‘70, della medicina e delle infrastrutture sanitarie. La meccanizzazione di un certo numero di compiti ha portato inoltre migliori condizioni di lavoro, contribuendo ad aumentare la speranza di vita che è raddoppiata in quasi in un secolo, dai 37 anni nel 1900 a 69 anni nel 2010).

L'abbassamento senza precedenti della fecondità sta provocando una netta decelerazione demografica: il tasso annuo medio di incremento è passato del massimo storico di più del 2% alla fine degli anni ’60 (quando molti paesi si sono trovati nel mezzo della propria transizione demografica) all’1,2% nel 2010. in cinquant’anni, la popolazione mondiale è così fortemente aumentatala: 2,5 miliardi nel 1950, 6,1 miliardi nel 2000. In base alla proiezione media dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), si dovrà portare a 9 miliardi nel 2050. bisogna quindi parlare di soprannumero? Se questi nove miliardi fossero migrati tutti negli Stati Uniti, lasciando tutto il resto della Terra deserto, la densità degli Stati Uniti sarebbe ancora inferiore a quella dell’Ile de France...

Fenomeno inedito, l'invecchiamento segnerà il XXI secolo. Può essere misurato con l'aumento della proporzione delle persone che hanno 65 anni e più (il 5,2% nel 1950, il 7,6% in 2010 e il 16,2% nel 2050, secondo le previsioni dell'ONU (2)) o per l'evoluzione dell'età media (24 anni nel 1950, 29 anni nel 2010 e circa 38 anni nel 2050 (3)). Intanto, l'incremento della speranza di vita allarga il cerchio della terza età. Inoltre, l'abbassamento della fecondità fa diminuire il numero dei giovani; i suoi effetti sono particolarmente importanti nei paesi in fase di inverno demografico, quelli in cui la fecondità è da parecchi decenni molto al di sotto della soglia di sostituzione delle generazioni, circa 2,1 nati per donna. In questi paesi, solo un rilancio notevole della fecondità (e non troppo tardiva, perché il numero di donne in età feconda diminuisce sensibilmente) o degli apporti migratori da parte di popolazioni giovani potrebbero permettere di raggiungere la soglia della semplice sostituzione delle generazioni.

Bisogna tenere anche di conto l'aumento del numero assoluto degli anziani, quella che viene definita "gerontocrescita": 130 milioni nel 1950, 417 milioni nel 2000 e questo numero potrebbe raggiungere 1,486 miliardo nel 2050. Questa distinzione tra invecchiamento e gerontocrescita permette di prevedere evoluzioni molto contrastate a seconda dei paesi trattati. In alcuni, questi due fenomeni non si evolvono in modo identico, per l’effetto, ad esempio, d’un sistema migratorio che apporta popolazione giovane e fa allontanare i vecchi.

L'urbanizzazione appare come un altro fenomeno di primaria importanza. Nel 2008, secondo i dati delle Nazioni Unite (analizzati nelle loro diverse modalità, ma mai a fondo), gli abitanti delle città hanno superato per la prima volta superata quelli delle zone rurali (4). È il grande paradosso del XXI secolo: la popolazione mondiale non è mai stata tanto numerosa e non si era mai concentrata in spazi così piccoli: il mondo si "metropolizza" inesorabilmente sotto l'effetto di un tipo di motore a tre tempi. Il primo tende a far convergere il settore terziario negli spazi urbani più popolati, attirando quelle persone che sono diventato disponibile a causa dell'incremento della produttività agricola. Il secondo viene dalle maggiori possibilità di impiego in un contesto di diversità crescenti dei mestieri, di una mobilità professionale volontaria o obbligata, o di povertà nel mondo rurale. Infine, le metropoli sono i territori che sono più adatti alla realizzazione dello “spazio mondo”, facilitando notevolmente le connessioni. Dispongono di un interattività legata al loro grado di importanza politica che dipende dal loro status istituzionale (capitale regionale, nazionale, sede di istituzioni pubbliche internazionali). Da tempo le filiali straniere delle multinazionali si localizzano principalmente nelle grandi città.

L'intensità della concentrazione urbana ha forti contrasti tra un paese e l'altro: in India il 29% degli abitanti vive in città, il 33% nella Repubblica Democratica del Congo, il 73% in Germania e il 79% negli Stati Uniti. I fattori sono molto variabili. Il forte tasso brasiliano è dovuto principalmente all'eredità della colonizzazione, che ha fondato delle città che dovevano assicurare il controllo politico ed economico del territorio e centralizzare l'esclusività degli scambi con la metropoli portoghese. Il debole tasso cinese deve molto al regime comunista, che ha distribuito tempo addietro i lavoratori rurali; in questo contesto, Pechino, coi suoi dodici milioni di abitanti, è una capitale poco popolata in rapporto all'importanza demografica del paese. Altrove, i conflitti hanno sradicato le popolazioni rurali, accentuando il peso demografico di città come Bogotá, Amman, Calcutta o Kinshasa.

I paesi molto centralizzati, come la Francia o l'Iran, si sono dotati di un'armatura urbana macrocefala, dove la capitale politica è dominante in tutte le funzioni: economiche, finanziarie, universitarie e culturali. Altri paesi, come la Spagna o la Bolivia, hanno un'urbanizzazione bicefala, dominata da due città, Madrid e Barcellona, La Paz e Santa Cruz; la Germania è invece organizzata in una rete urbana più equilibrata che collega parecchie città armoniosamente gerarchizzate.

Transizioni demografiche in corso in vari paesi del Sud, inverno demografico in alcuni paesi del Nord, invecchiamento della popolazione, urbanizzazione senza precedenti: ecco che si crea un paesaggio demografico inedito. A ciò si aggiunge la domanda delle circolazioni migratorie: 214 milioni di persone (5) residenti in modo permanente in un paese diverso da quelli in cui sono nate, una cifra che non include né i profughi, né gli esiliati.

Contrariamente alle idee in voga, le migrazioni sono regolari e permanenti. E per la gran parte legali: sovramediatizzate, le migrazioni clandestine sono statisticamente trascurabili. La storia e la geografia hanno contribuito a costruire delle coppie migratorie tra i paesi. Si possono basare su una prossimità geografica - Burkina Faso e Costa d'Avorio, Colombia e Venezuela, Messico e Stati Uniti, Malesia e Singapore, Italia e Svizzera... o su una storia comune - Filippine e Stati Uniti, Algeria e Francia, India e Regno Unito, eccetera – a causa dei legami ereditati dalla colonizzazione e perpetuati, de iure o de facto, dopo la decolonizzazione. Anche se, come nel movimento di urbanizzazione i fattori politici (guerre, conflitti civili, regimi liberticidi) spingono all'emigrazione, i fattori economici ne sono il motore principale. Nel XIX secolo, la povertà aveva costretto di numerosi spagnoli, svizzeri e italiani a emigrare in America latina. La demografia è essa stessa un terzo fattore di migrazione: nel XIX secolo la Francia, a causa dell'abbassamento molto precoce della sua fecondità, è diventata il solo paese europeo di immigrazione. Nel XXI secolo, l'abbassamento della popolazione attiva in diversi paesi sviluppati spinge a raccolta gli immigrati, a causa del deficit di manodopera, specialmente in alcune attività mal pagate.

La polarizzazione tra paesi di emigrazione e paese di immigrazione ha perso comunque una sua pertinenza. Le migrazioni sono sempre più circolari: il Marocco, ad esempio, è un paese di emigrazione verso l’Europa e il Nord America, un paese di transito per i cittadini residenti all'estero dell'Africa sub-sahariana che raggiungono l'Europa e un paese di immigrazione per i cittadini residenti all'estero dell'Africa sub-sahariana si sono fermati senza avere previsto necessariamente il proseguimento della propria migrazione. Allo stesso modo, la Spagna è un paese di emigrazione, in particolare verso i paesi del Nord o l'America latina, un paese di transito per gli africani diretti in Francia e un paese di immigrazione dal Marocco, dalla Romania o dall'America andina. Al di là dell'immagine schematica che potrebbe darci il saldo migratorio (che maschera l'intensità dei flussi di immigrazione e di emigrazione) paese per paese, oggi sembra che la maggior parte degli Stati ospitano al tempo stesso tutte e tre queste funzioni.

Note:

(1) Salvo menzione contraria, le cifre sono estratte da Jean-Paul Sardon, “La population des continents et des pays” , Population & Avenir, n° 700, Parigi, novembre-dicembre 2010.

(2) Dati della suddivisione della popolazione dell’ONU.

(3) Ibid.

(4) Vedi il nostro dossier « Mégapoles à l’assaut de la planète », Le Monde diplomatique, aprile 2010.

(5) Dati di International Migration 2009 per la suddivisione della popolazione dell’ONU.

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Fonte: http://www.monde-diplomatique.fr/2011/06/DUMONT/20659
da: www.comedonchisciotte.org
Giugno 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE