domenica 20 giugno 2010

IL BUSINESS NASCOSTO SOTTO LA MACCHIA DI PETROLIO DI BP


DI MAURO BOTTARELLI
ilsussidiario.net

Nella rubrica di oggi potevo parlarvi di Borsa, volatilità, crisi del debito, collocazione di bonds governativi e quant’altro: lo abbiamo fatto fino a oggi, riprenderemo a farlo dalla settimana prossima.

Quest’oggi parliamo della marea nera scatenata dal guasto all’impianto di British Petroleum nel Golfo del Messico, una tragedia ambientale che da settimane riempie pagine di giornali e le headlines dei principali tg. Per una volta non sembrano esserci dubbi nell’identificazione di buoni e cattivi: i primi sono i dirigenti della Bp, il secondo è Barack Obama che, dopo aver promesso di prendere a calci nel sedere i responsabili e passato ore a parlare con i pescatori della Louisiana, ieri ha mostrato una faccia ancor più dura.

I vertici dell’azienda petrolifera britannici, infatti, sono stati accolti con freddezza glaciale alla Casa Bianca e nonostante abbiano dato l’ok all’esborso di 20 miliardi di dollari per ripagare i danni causati, si sono sentiti rispondere dal numero uno della Casa Bianca che quella cifra «non rappresenta il tetto massimo». Ovvero, preparatevi a scucire molto altro denaro, ormai siete sotto scacco non mio ma dell’intero pianeta che vi odia a morte.

Sembra il film “Wag the dog”, una creazione mediatica straordinaria. Sono bastate, infatti, le immagini di quattro pennuti con le ali impiastrate di greggio e tre interviste ad altrettanti esperti pronti a proclamare la morte dell’oceano, per chiudere completamente gli occhi del mondo al molto altro che sta dietro alla vicenda che vede prootagonista la piattaforma Deepwater Horizon.

Lasciate stare che il paladino del mondo, ovvero Barack Obama, non più tardi di quattro mesi fa aveva autorizzato trivellazioni offshore anche nel “giardino delle rose” della Casa Bianca per non dipendere più dalla bizze ricattatorie dell’Opec e della speculazione otc sui futures, salvo ora trasformarsi nel Fulco Pratesi di turno, il problema è altro: che quell’incidente sarebbe accaduto lo si sapeva da mesi e mesi, era questione di tempo. Anzi, di timing visto che le implicazioni sono anche - e forse soprattutto - economche e finanziarie: prima delle quali, uccidere Bp, renderla scalabile e ottenere a prezzo di saldo le sue attività estrattive.

Cominciamo dal principio. La Deepwater Horizon, carta canta nei documenti ufficiali, è stata classificata fin dall’inizio della sua attività un progetto potenzialmente soggetto ai cosiddetto “low probability, high impact event”, classificazione che vede tra gli altri incidenti occorsi l’11 settembre, l’esplosione dello Shuttle e l’uragano Katrina: come per questi casi, l’ipotesi di “worst case scenario” è stata completamente ignorata. Con dolo o meno, lo scopriremo dopo.

Cosa è accaduto, quindi? Due sono le paroline magiche, “blowout preventer”, ovvero un meccanismo meccanico che fisicamente deve evitare possibili fuoriuscite di petrolio: nel caso della Deepwater Horizon, entrambi questi aggeggi, uno attivato manualmente e uno di back-up automatico, hanno fatto cilecca. Quando accadono incidenti di questo genere, ci dice Robert Bea, docente di Ingegneria alla University of California, le responsabilità si diramano in tre direzioni o filiere: i lavoratori della piattaforma, il cosiddetto “errore umano”, le gerarchie dell’azienda per cui questi operai lavorano e le burocrazie governative che sovraintendono i lavori, ovvero i cosiddetti controllori o regolatori.

Bea, dopo aver lavorato su una casistica di circa 600 incidenti in strutture estrattive, ha concluso che nell’80% dei casi le responsabilità sono imputabili a «fattori umani e organizzativi» , a loro volta all’interno di questa percentuale la metà fa capo a carenza nel design ingegneristico della struttura riguardo l’equipaggiamento o i processi estrattivi. Per Bea, quanto accaduto ha molto a che fare con l’uragano Katrina, «un misto di hubris, arroganza, ignoranza combinato con l’azzardo della natura».

“Maledetti, avidi inglesi perforatori!”, gridano in tutto il mondo. Peccato che la Bp sia solo corresponsabile, visto che nel caso della Deepwater Horizon ci troviamo di fronte a un classico caso di frammentazione delle responsabilità: la piattaforma è un’operazione di British Petroleum ma quest’ultima ha ottenuto il leasing della struttura dalla Transocean e i lavori, fattivi, quando l’incidente è accaduto erano in mano alla Halliburton, potentissima azienda statunitense che vede ai vertici una vecchia volpe della politica statunitense come Dick Cheney, braccio destro dell’ex presidente Usa, George W. Bush e uomo potentissimo per quanto riguarda la questione petrolio.

Il fatto è che questi tre soggetti hanno interessi diversi rispetto non solo alla Deepwtare Horizon ma all’intero processo operativo: Bp è interessata all’accesso alle risorse di idrocarburi per mandare avanti le sue raffinerie e la rete di distribuzione. Halliburton offre invece servizi sul campo, ovvero operativi. Transocean, infine, opera come un taxi: insomma, diversi obiettivi e quindi diversi processi operativi. Peccato che, in pasto all’opinione pubblica, sia stata data solo Bp.

Per Andrew Hopkins, un sociologo della Australian National University, quanto accaduto «è simile a quanto successo con la crisi finanziaria. I grandi manager ricevono enormi bonus per rischi presi quest’anno o l’anno scorso, il problema, i rischi reali, per tutti, arriveranno nelle case di tutti anni dopo».

Non la pensavano così negli Usa, nemmeno nell’epoca Obama (abbia già ricordato la sua decisione della scorsa primavera di trivellare l’Alaska senza tante precauzioni), visto che le decisioni governative riguardo le piattaforme estrattive si sono basate sempre sul principio del “tanto non succederà nulla”. Chi deve controllare e sovraintendere è il Minerals Management Service (MMS), una divisione dell’Interior Department, il quale dagli anni Ottanta in poi ha basato i suoi check riguardo l’operatività delle strutture su un principio unico: esenzione. Ovvero, nessun controllo sull’impatto ambientale delle varie aziende e strutture operanti: si opera sub judice e via così, a certificarlo con una denuncia molto circostanziata è stato non il sottoscritto ma Holly Doremus, professor di legislazione ambientale ad Harvard.

Nel silenzio degli altri media, troppo occupati a mostrare immagini catastrofiche e volontari al lavoro, Washington Post e Associated Press hanno certificato e scritto che la Deepwater Horizon aveva ottenuto una nuova esenzione (in gergo tecnico “Categorical exclusion”) lo scorso anno: su cosa si basava questa certezza operativa, questo ennesimo nulla osta? Calcoli empirici pubblicati nel 2007 in base ai quali la “most likely size”, la quantità più probabile di petrolio che si sarebbe riversata in mare in caso di incidente, sarebbe stata pari a 4.600 barili. Peccato che nel Golfo del Messico, a oggi, siamo sopra quota 80mila barili riversati: complimenti ai controllori e regolatori, oltre a chi stava operando in quel momento sulla piattaforma!

Già, perchè se come sembra l’errore è stato umano e dovuto alla non attivazione dei due “blowout preventers”, perché la Casa Bianca non si è infuriata con la potente e statunitense Halliburton, in carico operativo sulla struttura? Chiedetelo al presidente che minaccia calci nel sedere ma si guarda bene dal toccare interessi nazionali più grandi di lui: e forse, così facendo, capirete anche la stizza malcelata del premier britannico, David Cameron, per il crucifige generale ed esclusivo contro Bp.

Colmo dei colmi, ieri Washington ha annunciato un’inchiesta federale sull’accaduto: e a chi sarà affidata? Allo stesso MMS, l’ente dall’esenzione facile. Come ha dichiarato ancora Andrew Hopkins, «la MMS è il regolatore e un fallimento della regolamentazione è parte di questo disastro. Quindi, MMS sta per investigare su se stessa. Direi che è quantomeno totalmente inappropriato». Pensate il quadro sia già sufficientemente esaustivo da rimettere un po’ in discussione il can can mediatico e politico di questo periodo? Sbagliate. Il bello arriva ora e potete desumerlo da questa tabella. (http://moneycentral.msn.com/ownership?Holding=Institutional+Ownership&Symbol=BP )

Al 31 marzo di quest’anno, come sempre, Thomson Reuters ha reso noto l’assetto proprietario di Bp dopo il primo trimestre dell’anno: mancava poco all’incidente, proprio poco e guardate un po’ chi ha scaricato 4.680.822 di azioni di British Petroleum per un valore di 250 milioni di dollari e pari al 44% del totale? Goldman Sachs, banca d’affari legata a doppio filo a Washington e all’establishment politico e soprattutto unica banca d’affari che fa soldi quando gli altri perdono: loro non si scottano mai le dita.

Perchè sono i più bravi, questo è innegabile e va detto per evitare di scadere nel complottismo: certo, il fatto che quella piattaforma fosse a rischio lo certificava l’MMS con le sue esenzioni, certo il fatto che le azioni di Bp siano crollate è altrettanto vero - se le avesse tenute, Goldman avrebbe perso il 36% del loro valore - ma non sono quelle “briciole” a far paura a un gigante come la firm newyorchese: il danno è reale, le responsabilità diffuse ma veicolandole in modo giusto e nascondendo alcune di esse, magari Bp diviene scalabile e le sue attività acquisibili.

Ma non solo Goldman ha magicamente scaricato le azioni di Bp giusto in tempo: Wachovia ne ha vendute 2.667.419 e Ubs qualcosa come 2.125.566. Ripeto non è il numero di azioni o il controvalore a dover far riflettere ma il timing: ma come, Obama dà luce verde a trivellazioni offshore ovunque e soggetti del genere escono dal business? Strano. In compenso, qualcuno ha comprato. Chi? Ad esempio Wells Fargo, acquirente di 2.398.870 azioni: strano però, visto che Wells Fargo è proprietario della “scaltra venditrice” Wachovia. Puzza di partita di giro, almeno al sottoscritto. E chi altro? La Fondazione Melinda e Bill Gates, quella patrocinata dal signor Microsoft e il Wellington Management, una grande asset firm: bella fregatura hanno preso, almeno formalmente.

Il fatto strano è che a metà marzo, prima della vendita, il sito di ricerche di mercato Morningstar, quotava le azioni di Bp con un rating di tre stelle su cinque, quindi fomalmente appetibile: Goldman Sachs, per una volta, aveva sbagliato la scelta ed è stata “salvata” dall’incidente? No, perché nella descrizione del titolo, Morningstar elencava solo le debolezze di Bp, ovvero «la minore integrazione di Bp rispetto a Shell o ExxonMobil, le fluttuazioni del prezzo del petrolio, potenziali perdite dovute a rischi politici, soprattutto la forte esposizione in Russia (il consorzio Tnk-Bp, terzo gruppo petrolifero del paese, con 100mila occupati e la brutta idea di voler mettere i bastoni tra le ruote a Gazprom che ha portato con sé l’espulsione del presidente del gruppo, la presa di ostaggi tra gli operai da parte del governo di Mosca e altre manifestazioni democratica di amore per la concorrenza, ndr)».

E, infine, il meglio: «Spaccature causate da limiti ambientali e operativi potrebbero ulteriormente limitare il potenziale di guadagno». Accidenti, o portano sfiga o sono dei portenti questi di Morningstar! Peccato, poi, che in febbraio altri analisti di Morningstar, in una nota separata, avevano invece salutato come un portento il risultati presentati da Bp nel quarto trimestre dello scorso anno dicendosi «incoraggiati dai continui guadagni grazie a nuovi progetti e tagli dei costi».

Come cambiano le cose, in pochi giorni! Un bel quadretto, non c’è che dire. Ora, il disastro ambientale, immane, resta ma non fatevi abbindolare dalla faccia contrita di Barack Obama mentre parla con i pescatori o dalle immagini di pennuti con le ali intrise di petrolio: dietro a quanto sta accadendo c’è molto di più, responsabilità molto diffuse e in alto e soprattutto interessi.

Lo certificava il 2 giugno scorso il sito di Bloomberg, gente che di mercati ne sa qualcosa: «Bp a rischio poiché il crollo delle azioni alimenta le voci di scalata», aggiornato addirittura quattro volte in un solo giorno. Chissà che a ExxonMobil, principale concorrente di Bp negli Stati Uniti, qualcuno non ci stia pensando, visto l’improbabile scalata di Shell, che già nel 2004 doveva fondersi con British Petroleum: con tutte quelle azioni vendute o passate di mano a soggetti così fedeli alla Casa Bianca e agli interessi, leggittimi, degli Usa...

Mauro Bottarelli
Fonte: www.ilsussidiario.net
Link: http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2010/6/18/MAREA-NERA-Il-giallo-del-rapporto-segreto-sugli-operai-della-BP-che-si-sono-ammalati-tentando-di-arginare-il-petrolio/3/93694/
18.06.2010
visto su: www.comedonchisciotte.org

IL RECORD ASSOLUTO DELLE BALLE - TG2 INTERVISTA A TREMONTI


DI SOLANGE MANFREDI
paolofranceschetti.blogspot.com

Ieri sera al TG2 delle 20.30 ho sentito l'intervista rilasciata dal nostro Ministro dell'Economia Tremonti

TG2 del 17/06/2010, ore 20.30, servizio 02, indirizzo:

http://www.tg2.rai.it/dl/tg2/Page-51fc176a-1c60-4232-a024-732f3ba3f42a.html

So da tempo che la propaganda ha le sue regole, ma non credevo che in meno di un minuto si potesse giungere a tanto. In un minuto infatti è stato battuto il record delle falsità.

Vediamole una per una.

Il Ministro Tremonti esordisce così:

"Ho parlato con il presidente Berlusconi che è a Bruxelles. E' chiuso il vertice europeo. Ha ottenuto uno straordinario successo per il nostro paese ma non solo. La politica europea considera il debito pubblico, ma anche la sua dinamica e, soprattutto, la sua complessiva stabilità".

Stabilità? Ma di che sta parlando? Il nostro debito pubblico è in costante aumento, altro che stabile!

Ad aprile ha raggiunto i 1.812,7 miliardi. Livello mai raggiunto!

A marzo di quest'anno era di 1.797,7 miliardi di euro.

Lo ripeto: Il nostro debito pubblico è in costante e veloce aumento! Di quale stabilità stia parlando non si sa.

Il Ministro prosegue:

"Questo è un grande riconoscimento al Presidente Berlusconi, al Governo italiano e sopratutto mette l'Italia nella giusta posizione in Europa".

Grande riconoscimento? Giusta posizione? Ma se abbiamo uno dei debiti pubblici più alti al mondo! A seconda delle stime siamo tra il 5° (OCSE) e il 7° posto (FMI) tra i paesi più indebitati.
Peggio di noi troviamo solo paesi come lo Zimbawe, Libano, Sudan o Giappone che, però, avendo ancora la sovranità monetaria possono correre ai ripari svalutando, noi no.

La nostra giusta posizione? Tra i paesi più indebitati del mondo, ecco la nostra GIUSTA posizione.
Ma ancora non basta, perché il Ministro, poi, afferma:
"Abbiamo ereditato un grande debito"

Da chi? La domanda è lecita visto che dal 2001 ad oggi hanno governato praticamente sempre loro, tranne una parentesi di due anni del governo Prodi (2006-2008). Sarebbe stato più corretto dire: "Abbiamo fatto un grande debito".

Ma il meglio deve ancora arrivare. Eccolo:

“ma guardando avanti la dinamica è più lenta che in altri paesi, e poi abbiamo una grande ricchezza delle famiglie, abbiamo poco debito nelle imprese, abbiamo un sistema pensionistico molto stabile”.

Se non ci fosse da piangere verrebbe da ridere. Vediamo quale ricchezza delle famiglie, quale debito delle imprese, e quale sistema pensionistico. Andiamo con ordine: - Ricchezza delle famiglie: Secondo gli ultimi dati della Banca d'Italia la crescita inerente l'indebitamento delle famiglie è in costante aumento e, soprattutto l'indebitamento continuerà a crescere. Vero che l'indebitamento delle famiglie italiane in rapporto al reddito disponibile è più basso di altri paesi europei, ma è anche vero che sta crescendo sempre più velocemente, il che vuol dire che i risparmi sono finiti e per accorgersene basterebbe uscire dal quel mondo di privilegi cui i nostri politici si sono arroccati. La realtà è sotto gli occhi di tutti, basta guardare;

- debito imprese: Le imprese italiane navigano in un mare di debiti. Tra prestiti fidi e crediti commerciali, negli ultimi dieci anni hanno accumulato un conto con le banche pari a 933 miliardi. Che per ogni impresa fa, in media, 176 mila 596 euro. Più che una marcia quella delle imprese è stata una corsa all' indebitamento, cresciuto negli ultimi 10 anni del 93,6% contro un' inflazione in salita del 23 (http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/05/16/imprese-debiti-raddoppiati-in-10-anni.html);

- Sistema pensionistico stabile. "Le Casse di previdenza private sono destinate al crack. Entro il 2030 gli enti consumeranno i patrimoni per pagare le prestazioni, a meno di drastiche riforme. A lanciare l'allarme sui destini delle gestioni di previdenza dei professionisti è il ministro del Lavoro, Roberto Maroni, sulla scorta dell'analisi del Nucleo di valutazione sulla spesa previdenziale, che sarà presentata ufficialmente all'inizio di settembre" (sole 24 ore). Questo nel 2003. Da allora le cose sono peggiorate tanto che nell'ultimo decreto legge, le casse di previdenza vengono sostanzialmente commissariate. Infatti, secondo il decreto legge 78/2010, art. 8, comma 15: «Le operazioni di acquisto e vendita di immobili da parte degli enti pubblici e privati che gestiscono forme di previdenza obbligatorie di assistenza e previdenza, nonché le operazioni di utilizzo, da parte degli stessi enti, delle somme rinvenienti dall'alienazione degli immobili o delle quote di fondi immobiliari, sono subordinate alla verifica del rispetto dei saldi di finanza pubblica». Detto in altri termini significa che l'acquisto di immobili o l'utilizzo dei fondi derivanti dalla loro vendita, anche da parte degli enti privati, è subordinato a una specie di nullaosta del ministero del Lavoro, di concerto con l'Economia. Non è stata usata la parola commissariamento me nei fatti di questo si tratta. Le nostre casse previdenza sono così floride che negli ultimi tempi sono stati presi i seguenti provvedimenti:

a) sono stati tagliati e/o bloccati gli stipendi;
b) è stata aumentata l'età pensionabile;
c) le c.d. Buone uscite saranno pagate a rate se sopra i 90.000 euro;

d) le casse di previdenza sono state commissariate.

Un perfetto esempio di salute ferrea.
Alla fine il nostro Ministro dell'economia conclude:
“nell'insieme abbiamo un sistema molto sostenibile, se fosse stato diverso saremmo stati penalizzati, in questo modo, ripeto, il vertice è stato chiuso molto bene, con un ruolo molto importante del Presidente Berlusconi. Siamo in pista e abbiamo il biglietto che ci compete”.

Si, è vero, abbiamo proprio il biglietto che ci compete, al lettore stabilire fatto con quale "carta".

Solange Manfredi
Fonte: http://paolofranceschetti.blogspot.com/
Link: http://paolofranceschetti.blogspot.com/2010/06/il-record-assoluto-delle-balle.html
18.05.2010
visto su: http://www.comedonchisciotte.org

giovedì 17 giugno 2010

FELTRI, BELPIETRO E LE MANETTE


DI MASSIMO FINI
antefatto.ilcannocchiale.it

Il 4 marzo del 1993 Enzo Carra, l'ex portavoce di Forlani, fu fotografato in manette: i più feroci furono i due giornalisti che spararono la foto in prima pagina sull'Indipendente

Ho cominciato la mia carriera di giornalista come cronista giudiziario all'Avanti! di Milano nei primi anni Settanta. Ogni giorno vedevo passare nei grandi androni del Palazzo di Giustizia non solo qualcuno in manette ma file di detenuti tenuti insieme dagli "schiavettoni" e da catene sferraglianti come dei deportati alla Cajenna. Ogni tanto quando c'era un delitto particolarmente importante, in genere rapine perché allora la classe dirigente non si era ancora così corrotta come sarebbe stato negli anni Ottanta e dimostrato nei Novanta con le inchieste di Mani Pulite, arrivavano, oltre ai fotografi, anche le Televisioni. Da neofita me ne stupivo. Non tanto delle manette, che soprattutto nei trasferimenti di più detenuti sono necessarie, ma dell'esposizione pubblica di queste persone, senza alcun rispetto, senza ritegno, senza protezione (anche quando non ci sono le tv non deve essere piacevole farsi vedere in manette dalle centinaia di persone che transitano ad ogni ora in un grande Palazzo di Giustizia qual è quello di Milano) ma allora nessuno sembrava curarsene, tantomeno i politici e gli opinionisti.

In fondo la cosa non riguardava che degli stracci. Il 4 marzo del 1993, in piena Mani Pulite, ci fu l'episodio di Enzo Carra, l'ex portavoce di Forlani, fotografato in manette. I più feroci furono Bibì e Bibò, alias Vittorio Feltri e Maurizio Belpietro, direttore e vicedirettore dell'Indipendente, che spararono la foto in testa alla prima pagina, ingrandendola il più possibile e indicando Carra al ludibrio della folla inferocita di quei giorni.

Il più pietoso fu il "giustizialista" Antonio Di Pietro, ai tempi pubblico ministero, che ordinò agli agenti penitenziari di togliere immediatamente le manette a Carra. Del resto allora Bibì e Bibò erano dei forcaioli assatanati, sarebbero diventati dei "garantisti" a 24 carati quando passarono nella scuderia di Silvio Berlusconi. Se la prendevano anche coi figli degli imputati. Per esempio quelli di Craxi. Toccò a me scrivere sull'Indipendente una lettera aperta a Vittorio (“Caro direttore, ti sbagli su Stefania Craxi”, 11/5/1993) ricordandogli che i figli non hanno i meriti ma neanche le colpe dei padri. Così come toccò a me, nel momento della caduta, mentre una legione di improvvisati fiocinatori si accaniva sulla balena ferita a morte, scrivere, sempre sull'Indipendente, un articolo intitolato “Vi racconto il lato buono di Bettino” (17/12/92), in cui, benché tempo prima Craxi mi avesse definito, nientemeno che dagli Stati Uniti dov'era in visita, “un giornalista ignobile che scrive cose ignobili”, ricordavo che oltre all'uomo sfigurato , sconciato che vedevamo, con orrore, in quei giorni drammatici, ce n'era stato anche un altro che aveva suscitato speranze in molti. Passata la stagione euforica di Mani Pulite, l'immagine di Enzo Carra in manette è passata alla storia come l'emblema della "gogna mediatica" che non avrebbe dovuto ripetersi mai più (come dopo il "caso Valpreda" si giurò che mai più nessuno sarebbe stato chiamato "mostro"). Il Garante della privacy emanò alcune regole di comportamento per i media e parve affermarsi una maggior sensibilità per il rispetto della dignità dei detenuti. Ma solo per alcuni. Lo dice il recente episodio che ha visto protagonista Fabio De Santis, l'ex provveditore alle Opere pubbliche toscane, uomo di fiducia di Angelo Balducci, insomma uno della "cricca". Con un cellulare De Santis è stato portato in manette, come gli altri quattro detenuti che erano con lui (due spacciatori di droga, un ladro, un rapinatore) dal carcere fiorentino di Sollicciano al Tribunale del Riesame. Quando è sceso dal cellulare De Santis ha dovuto percorrere una ventina di metri sotto l'occhio delle telecamere. Solo due telegiornali però hanno mandato in onda quella scena. La giustificazione più farsesca e farisaica è stata quella di Mauro Orfeo, direttore del Tg2: “Volevamo denunciare una gogna che ricorda certe immagini di Mani Pulite”. Denunciava la gogna mentre lo stava mettendo alla gogna.

Il Garante della privacy è intervenuto, molti politici e opinionisti si sono indignati. Molto giusto. Ma nessun Garante della privacy ha battuto ciglio e nessun politico si è indignato, nessun opinionista ha alzato il dito quando tutti i telegiornali, solo per fare, fra i tanti possibili , l'esempio ricordato ieri da Travaglio, mostrarono, con evidente compiacimento, le immagini di tre rumeni in manette accusati di stupro (e poi assolti). Molti politici, in particolare donne, dichiararono: “Per questi soggetti ci deve essere la galera subito e poi, processo o non processo, buttare via la chiave”.

Che cosa significa tutto ciò? Che si sta sempre più affermando in Italia un doppio diritto, di tipo feudale e peggio che feudale. Quello per i "colletti bianchi", per i vip, per "lorsignori", che oltre ad essersi inzeppati il Codice di procedura penale di leggi talmente "garantiste" da rendere quasi impossibile l'accertamento dei reati loro propri (fra poco non potranno nemmeno essere intercettati se non con mille limitazioni - parlo dei limiti posti alle indagini della polizia giudiziaria e della magistratura , non di quelli, a mio parere sacrosanti, alla loro divulgazione), van sempre trattati con i guanti. Per tutti gli altri, per coloro che commettono reati da strada, che sono quelli dei poveracci, non vale nemmeno la presunzione di innocenza. C'è la "tolleranza zero". Ma questa è la vecchia, cara e infame giustizia di classe.

Massimo Fini (www.ilribelle.com)
Fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

da Il Fatto Quotidiano del 17 giugno 2010

martedì 15 giugno 2010

La Lega e l'inno negato da sempre

15 giugno 2010
di Elisabetta Reguitti

Il rifiuto di Zaia per Mameli è solo l'ultimo attacco del partito di Bossi al tricolore e ai simboli nazionali

Il caso del Va’ Pensiero preferito all’inno Fratelli d’Italia nella scuola a Treviso ha più il sapore di una faida interna del Pdl veneto contro Zaia che altro. Di certo però c’è che le infiltrazioni leghiste stanno lentamente modificando usi, costumi e non solo tradizioni del nostro Paese. Tricolore? Perché esporlo. Inno d'Italia? Chi se ne frega. Scuola? Meglio se padana. Ordine pubblico? Magari decentrato.

INNO. Come non ricordare l'episodio in cui Umberto Bossi aveva mostrato il dito medio nel momento in cui il testo evoca l’Italia “schiava di Roma”. Recentemente (2 giugno di questo anno) a Varese durante la deposizione delle corone ai piedi del monumento ai Caduti in piazza della Repubblica (presente Maroni) la banda dei carabinieri ha eseguito il Silenzio, mentre nei giardini di Villa Recalcati l'orchestra ha accompagnato i discorsi ufficiali e la consegna delle onorificenze con melodie di Andrea Bocelli e Gino Paoli. Dalla Prefettura hanno fatto sapere che l'intonazione dell'Inno non è comunque imposta dal protocollo.

BANDIERA. L'offensiva del Carroccio prende di mira anche la lingua italiana e la sua bandiera. Roberto Castelli all'indomani della vittoria referendaria della destra in Svizzera aveva dichiarato : “Occorre un segnale forte per battere l'ideologia massonica e filoislamica che purtroppo attraversa anche le forze alleate della Lega. Credo che la Lega nord possa e debba nel prossimo disegno di legge di riforma costituzionale chiedere l'inserimento della croce nella bandiera italiana”, mentre Bossi si affrettava nel dire di voler presentare una proposta di legge che permetta di aggiungere, durante le manifestazioni ufficiali, gonfaloni regionali alla bandiera tricolore. Da non dimenticare poi che, in tema di unità nazionale, il sindaco di Treviso, Gian Paolo Gobbo, non ci pensa proprio a festeggiare nel nome di Garibaldi, in quanto il “Veneto venne annesso all’Italia solo nel 1866”, ha affermato recentemente, e quindi ricordare oggi i 150 anni dell’Unità sarebbe un falso storico. A seguire anche la voce di Roberto Calderoli, che ha spiegato come, secondo lui, la celebrazione ha poco senso perché non è sollevando la bandiera dell’Unità che si trovano soluzioni . Insomma tempi duri per il tricolore chel'assessore ai Servizi Sociali di Malnate, su Facebook, ha dichiarato di utilizzare come carta igienica (salvo poi essere costretta alle dimissioni). Ma se un’identità nazionale è anche rappresentata dalla lingua ecco intervenire il governatore Luca Zaia che, anziché preoccuparsi del problema quote latte o degli imprenditori in profonda crisi finanziaria (il Veneto è la regione con il maggior numero di suicidi tra i titolari di impresa), pensa e chiede che la Rai, televisione pubblica, promuova “fiction regionali”. D'altro canto era stato lo stesso leader leghista a sostenere che lo studio dei “dialetti regionali” debba diventare obbligatorio nelle scuole. Rimanendo in famiglia è giusto non dimenticare le perle del neo consigliere regionale Renzo Bossi: “Non tifo Italia ai Mondiali, non capisco il napoletano e non sono mai sceso a sud di Roma”. Un po' di confusione sui fondamenti costituzionali però il figlio del Senatùr lo aveva dimostrato in occasione della chiusura di campagna elettorale delle regionali affermando che: “Ora la parolina federalismo c'è anche nella Costituzione”. Forti applausi dai militanti.

SCUOLA. Ma veniamo al sistema scolastico italiano. Il 29 luglio 2009, la Lega chiese l'introduzione del test del dialetto per i professori. Allora il presidente della commissione, Valentina Aprea (Pdl), disse di no “sconvocando” il comitato ristretto della commissione Cultura della Camera e investendo della questione direttamente la conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Non contenta però Paola Goisis – deputata della Lega e presentatrice della richiesta – affermò: “Abbiamo rinunciato a tutto, tranne che a un punto sul quale insisteremo fino alla fine: ci dovrà essere un albo regionale al quale potranno iscriversi tutti i professori che vogliono. Ma prima dovrà essere fatta una pre-selezione che attesti la tutela e la valorizzazione del territorio da parte dei docenti”. Tornando a dare uno sguardo nel profondo nord si scopre come l'amministrazione comunale di Brescia abbia sostenuto la realizzazione di 2 mila abbecedari in dialetto per le scuole dell'infanzia e primarie per contribuire alla riscoperta e valorizzazione della propria “identità”. Ottimo. Peccato però che nel frattempo, il debito dello Stato verso alcune scuole bresciane (al primo marzo 2010) ammonti a 1 milione 978 mila euro. Un dato pubblicato dal sito “Basta soldi alla scuola privata” è ampiamente riportato dal comitato di genitori che da mesi denuncia di dover provvedere con contributi “volontari” oltre che all'acquisto del materiale scolastico anche alle supplenze. Abbecedario in dialetto anche per gli alunni della elementare di Albano Sant’Alessandro (Bergamo) e corsi di grammatica dialettale a Grumello del Monte, Stezzano e Bonate Sopra oltre che a Villa di Serio doveilcorsodidialettovienefatto da ben tre anni come attività integrativa pomeridiana inserita nel piano di diritto allo studio dei ragazzi delle medie. Qui però la Lega sembra proprio non centrare considerando che il sindaco è Mario Morotti, a capo di una lista civica di centrosinistra.

SICUREZZA. Dopo il flop delle ronde padane tutto sembra tacere. Eppure la Lega non ha mai abbandonato il sogno di un ordine pubblico affidato ai suoi uomini. A parte il tentativo delle “camicie verdi” e dei 36 componenti accusati di “costituzione di banda armata”. La Lega in questi anni ha spinto e sostenuto la nascita di corpi di polizia dipendenti direttamente dalla provincia. Nati come specialisti del settore ittico-venatorio oggi hanno la possibilità di espletare funzioni e indagini di polizia giudiziaria con poteri vincolati al “territorio di competenza” e gli appartenenti ricoprono anche funzioni di ausiliari di pubblica sicurezza. Alcuni corpi di polizia provinciale hanno risorse e mezzi superiori a quelli in dotazione alla stessa polizia di Stato.

Da il Fatto Quotidiano del 15 giugno

Il ricatto (riflessioni sulla vicenda FIAT)- di Marco Cedolin

di Marco Cedolin

Nel 1831 il presidente del consiglio francese Casimir Perier ammoniva gli agitatori: "gli operai sappiano che per il loro bene non vi sono altri rimedi che la pazienza e la rassegnazione".

L’Italia è davvero uno strano paese, se è possibile che l’ad della FIAT Sergio Marchionne, a capo di un’industria che da sempre costruisce profitti miliardari finanziandosi attraverso il denaro dei contribuenti, può permettersi il lusso di sostituire il governo ed i sindacati, imponendo pro domo sua, nuove regole in aperto contrasto con la legislazione in atto e con il contratto collettivo nazionale dei lavoratori.

Questo è infatti il senso del ricatto (perché di ricatto si tratta) attraverso il quale Marchionne ha minacciato la chiusura dello stabilimento FIAT di Pomigliano D’Arco, e il conseguente licenziamento dei 5000 lavoratori occupati in quella sede, se i lavoratori stessi non accetteranno di rinunciare ai diritti che la legge vigente attribuisce loro. Ostentando inusitata bonomia, Marchionne si dice disposto a “sacrificarsi”, rinunciando a delocalizzare in Serbia e in Polonia la produzione della merce automobile (destinata nei decenni a venire ad avere sempre meno mercato) e concentrandola invece in Italia, a patto che i lavoratori italiani siano disposti essi stessi a diventare di fatto operai serbi e polacchi.

Fulcro della nuova manovra messa in piedi dalla FIAT “di governo”, ...



... l’imposizione di 80 ore annue di lavoro straordinario pro capite obbligatorie (ma non sarebbe meglio lavorare di meno e lavorare tutti, un po’ come tentano difare alla Volkswagen?), il recupero produttivo delle fermate tecniche, anche se effettuate per causa di forma maggiore, la soppressione del diritto alla retribuzione nei giorni di malattia e del diritto di sciopero. Anche se per mantenere una parvenza di senso del pudore gli ultimi due punti non vengono ovviamente esplicitati letteralmente all’interno delle proposte, ma scientemente celati giocando con il senso della parola “assenteismo”.

Di fronte alla “telefonata” che impone le condizioni per il riscatto di 5000 persone, la politica ed il mondo sindacale si manifestano pronti a “pagare” (come sempre con i “soldi” degli altri) ed a genuflettersi dinanzi a cotanta generosità ostentata da Marchionne, uomo disposto a grandi sacrifici per sostenere l’occupazione nel paese. L’unica voce contraria sembra al momento essere quella della FIOM, decisa a non sottoscrivere l’accordo, ma con tutta probabilità anche questa piccola difficoltà verrà presto ripianata, offrendo un “contentino” che non incida sui termini della questione, o più semplicemente facendo finta che la FIOM non esista, così come già è stato fatto con i diritti dei lavoratori italiani.

La ricetta Marchionne, basata sul ricatto occupazionale, è in fondo molto semplice e in sintonia con lacrisi economica e finanziaria che (per un strana coincidenza) si rivela perfettamente funzionale a manovre di questo genere. Prima si distrugge il mondo del lavoro, attraverso la disoccupazione e la precarizzazione, poi si passa a riscuotere, imponendo nuove regole che rendono il lavoratore uno schiavo con sempre meno diritti.

Marco Cedolin

http://ilcorrosivo.blogspot.com/
http://marcocedolin.blogspot.com/
LETTO SU: www.luogocomune.net

Il Pentagono alla caccia del fondatore di Wikileaks


14/06/2010

Julian Assange sarebbe in possesso di documenti 'esplosivi'

Julian Assange e' ricercato dal Pentagono. Il fondatore del sito Wikileaks, specializzato nel pubblicare notizie segrete, e' in posesso di un dossier contenente analisi, giudizi riservati e orientamenti strategici degli Usa sulla regione mediorientale che potrebbero mettere in crisi i rapporti diplomatici e sconvolgere gli equilibri geopolitici mondiali.


La 'gola profonda' di Assange sarebbe un giovane analista militare, Bradley Manning, che avrebbe scaricato le decine di migliaia di pagine di fascicoli riservati del Dipartimento di Stato. Le conseguenze dell'eventuale pubblicazione delle carte sono potenzialmente molto gravi, a giudicare dal commento di P.J. Crowley, portavoce del ministero degli Esteri Usa: "E' una cosa che prendiamo molto sul serio. Il danno potenziale ai nostri interessi è molto alto". Arrestato in Iraq e rinchiuso in una base del Kuwait in attesa del processo, Bradley Manning, a soli 22 anni, sarebbe, secondo i vertici del Pentagono, la fonte che avrebbe passato ad Assange un video girato nel 2007 in Iraq nel quale si vede un elicottero Apache che uccide civili iracheni. Il sito ha confermato che il video in questione era stato ripreso con telecamere montate su un elicottero da combattimento dell'esercito Usa, ma non ha confermato di averlo ricevuto da Manning. Che però è stato messo nei guai dalle dichiarazioni di un ex hacker, Adrian Lamo, secondo il quale l'analista si sarebbe vantato di aver passato a Wikileaks il video del tiro al bersaglio dall'Apache, come anche del bombardamento di Garani, in Afghanistan, dove nel luglio 2009 rimasero uccisi circa cento civili. Il Pentagono non si era pronunciato sull'autenticità del video, ma aveva da subito dato il via ad una caccia alla talpa che ha portato al fermo di Manning.

Ora nel mirino dei servizi Usa c'e' Assange. Una somiglianza impressionante con l'attore Julian Sands, capelli lunghi bianchi nonostante l'eta' (39 anni), il fondatore di Wikileaks e' stato intervistato da PeaceReporter nel 2009, al festival del giornalismo di Perugia. La scorsa settimana era atteso a Las Vegas, ma ha cancellato la sua visita dietro indicazione dei suoi avvocati, che gli hanno suggerito di non andare negli Stati Uniti.

Wikileaks è nato con l'intenzione di svolgere un giornalismo civile, denunciando prima di tutto i comportamenti di governi autoritari e repressivi. Uno spazio libero, dove pubblicare liberamente i documenti proibiti dietro i quali si nascondono le politiche antidemocratiche di alcuni regimi e le malefatte delle multinazionali. La non tracciabilita' di chi invia tali documenti e' garantita da sistemi chiamati Privacy Enhancing Technologies (Freenet, The Onion Routing e PGP). Nel sito, sotto l'intestazione, una citazione dal settimanale americano Time: "Wikileaks potrebbe diventare uno strumento di informazione giornalistica tanto importante quanto il Freedom of Information Act (la legge Usa sulla liberta' di stampa)". Anche se i documenti segreti non verranno pubblicati, cosa assai improbabile conoscendo Assange, Wikileaks rappresenta gia' tale strumento.

Luca Galas
fonte: http://it.peacereporter.net

sabato 5 giugno 2010

Sempre gli stessi: i collezionisti di poltrone - da l'Antefatto

Altro che parlamentari: la vera concentrazione di potere è nei consigli di amministrazione: 68 società quotate su 71 condividono un consigliere.

di Giovanna Lantini

MILANO. Banche, giornali, teatri, cinema, sanità, università e un pizzico di mattone. Sono le passioni più diffuse tra i consiglieri di amministrazione italiani. Che, carte alla mano, non mancano certo di una spiccata versatilità. Secondo l’Osservatorio Board Index Spencer Stuart Italia, su 71 grandi imprese del listino principale di Piazza Affari, ben 68 hanno un amministratore in comune. Dalle ultime rilevazioni della Consob sull’applicazione in Borsa della normativa 2008 sul cumulo degli incarichi, poi, emerge che pur essendoci stata una recente riduzione del numero di poltrone pro capite, c’è sempre un 4% di amministratori e sindaci che hanno più di 30 incarichi (nel 2007 era il 20,5%), con un numero massimo di poltrone che nel 2009 ha raggiunto quota 62 (108 nel 2007) e un valore medio di 12,5 mandati (19,2 nel 2007). Tutto questo naturalmente senza contare poltrone anche in società non quotate, associazioni e fondazioni.

UN POSTO IN CDA PER I FIGLI SI TROVA SEMPRE

In questo scenario di incarichi incrociati contro cui si sono espresse anche Bankitalia e Antitrust, ci sono manager, imprenditori e superconsulenti che cumulano numerose poltrone di prestigio. Anche fra gli astri nascenti e i “figli di” dell’imprenditoria del Paese. Un esempio fra tanti è quello di John Elkann che, oltre agli incarichi al vertice delle società della galassia Fiat, che includono LaStampa e la controllante Itedi, coltiva una spiccata passione per i media internazionali. L’erede di Gianni Agnelli siede infatti nei consigli di amministrazione di Rcs Mediagroup, Le Monde e The Economist. Cariche che vanno aggiunte alle poltrone in Banca Leonardo, Confindustria e Fondazione Italia-Cina, senza contare la vicepresidenza dell’Italian Aspen Institute e della Fondazione Giovanni Agnelli, la guida del forum delle imprese italo-francesi e la vicepresidenza di Italia 70, la società a capo del consorzio italiano che parteciperà alla prossima Volvo Ocean Race, la più importante regata d’altura intorno al mondo che partirà da Alicante nel 2011. Sarà forse il retaggio della cultura trasmessa dall’ex presidente del Lingotto, Luca Cordero di Montezemolo, in passato in vetta alla classifica dei più poltronati d’Italia e oggi relegato “solo” alla presidenza della Ferrari, oltre che al ruolo di consigliere della società dell’amico Diego Della Valle, Tod’s,non ché di amministratore indipendente nel board del gruppo francese del lusso Ppr e di consigliere delle aziende di famiglia, tra cui il futuro concorrente delle Ferrovie, la Nuovo Trasporto Viaggiatori. Poltrone cui vanno aggiunti gli incarichi in Telethon Italia, in Citigroup, nel gruppo editoriale d’Oltralpe Le Monde e, da pochissimo, nel consiglio di amministrazione di Rcs Quotidiani. Oltre, ovviamente, alla presidenza della Fondazione Italia Futura. Sarà forse l’effetto della fama legata a Confindustria, del resto anche l’attuale numero uno dell’associazione degli imprenditori, Emma Marcegaglia, cumula diversi incarichi: amministratore delegato dell’omonimo gruppo di famiglia, ha appena lasciato i consigli di amministrazione della Indesit Company dei Merloni e della Italcementi dei Pesenti, ma siede nel board della Bracco, della Gabetti Property Solutions e della Siderfactor. È presidente di Mita Resort, società che gestisce il Forte Village di Santa Margherita di Pula (Cagliari) e della Società Turismo & Immobiliare. È vicepresidente di Italia Turismo e presidente della Fondazione Aretè Onlus per il sostegno dell’attività dell’Università Vita-Salute San Raffaele di don Verzé. Quanto ai giornali, non va dimenticato che alla Confindustria fa capo il quotidiano economico più diffuso in Europa, Il Sole 24 Ore. Tornando ai “figli di”, tra i più attivi accanto al giovane Elkann e a Matteo Cordero di Montezemolo, spiccano le sorelle Ligresti. Jonella è presidente delle società di famiglia Fondiaria-Sai e di Sai holding Italia, vicepresidente del marchio di lusso della sorella Giulia, Gilli e della finanziaria Premafin, oltre che consigliere di Assonime, Finadin, Italmobiliare (gruppo Pesenti), Mediobanca, Milano Assicurazioni e Rcs Mediagroup. Quanto a Giulia Maria, oltre che nelle società di casa Ligresti, siede nel consiglio di amministrazione di Pirelli & C e nel blasonato cda dell’Orchestra Filarmonica della Scala di Milano. Passando alla prole di Carlo De Benedetti, Rodolfo e Marco, il primo cumula 12 mandati (oltre alle imprese di famiglia ci sono la ginevrina Banque Syz e dell’assicuratrice Allianz), mentre il secondo lo segue con 10 incarichi e, complice il ruolo di numero uno in Italia del fondo di private equity Carlyle, siede nei consigli di Parmalat e Moncler. Più defilati, invece, i due Berlusconi junior, Marina e Piersilvio, che sono concentrati su Mondadori, Mediaset e affini (fra cui Telecinco, Medusa, Publitalia‘80, Fininvest). Salvo poi riservarsi comunque un posto, per Marina, nel salotto buono di Mediobanca, la banca d’affari che decide le sorti delle più importanti imprese del Paese.

I GRANDI NOMI CON IL DONO DELL’UBIQUITÀ

Fra gli imprenditori multincarico, uno dei più attivi è Diego Della Valle, 15 poltrone tra cui un brillante posto, da indipendente, anche nel cda del gruppo del lusso francese Lvmh. Il numero uno di Tod’s, è presidente d’onore della Fiorentina, amministratore delle Generali, della Rcs Quotidiani e della Compagnia Immobiliare azionaria, società del mattone che fa capo all’editore del secondo quotidiano finanziario del Paese, Mf-Milano Finanza. Senza contare le numerose società personali e di famiglia tra le quali non manca una Fondazione Della Valle Onlus, l'imprenditore marchigiano è anche membro del Comitato di sostegno della Fondazione Umberto Veronesi, amministratore di Le Monde Europe e membro dei patti di sindacato di Mediobanca ed Rcs. Della Valle è anche socio di Piaggio, Bialetti e Cinecittà, oltre a condividere, insieme all’amico Montezemolo il cda della Ferrari e della Nuovo Trasporto Viaggiatori. Degno di nota anche il sedicente pensionato Carlo De Benedetti, 21 incarichi, che oltre alle poltrone nelle proprie aziende e in svariati club esclusivi e università internazionali, occupa una delle seggiole del consiglio di sorveglianza della Compagnie Financière Edmond de Rothschild Banque. Il fratello Franco ha invece diversificato e oltre che nelle società di famiglia, ha una presenza più variegata in aziende come Piaggio, Iride, Banca Popolare Milano e China Milano equity exchange. In calo rispetto al passato, ma pur sempre ricca di impegni anche l’agenda del vicepresidente di Mediobanca, Marco Tronchetti Provera. L’ex numero uno di Telecom Italia è presidente della Pirelli & C, della controllante Camfin e del Gruppo Partecipazioni industriali. Presidente e socio accomandatario della Marco Tronchetti Provera Sapa, amministratore dell’Inter e dell’Alitalia, nonché presidente della Fondazione Silvio Tronchetti Provera per la promozione della ricerca scientifica, consigliere di amministrazione dell'Università Bocconi di Milano e presidente onorario italiano del Consiglio perle Relazioni fra Italia e Stati Uniti.
I signori del cemento Pesenti padre e figlio, invece, si dividono i ruoli: oltre alle aziende di famiglia Franco Tosi, Italmobiliare e Italcementi – il cui codice di autodisciplina prevede che “sia compatibile con un efficace svolgimento della carica ricoprire non più di 5 incarichi come amministratore esecutivo e 10 come non esecutivo o indipendente o sindaco” - Giampiero è presidente del patto che controlla Rcs, siede nei board di Rcs Quotidiani, di Pirelli & C, della Mittel di Giovanni Bazoli, dell’assicurazione Allianz, di una banca off-shore, la Compagnie Monegasque banque e della Finter Bank Zurich. Il figlio Carlo, invece, fa parte anche dei cda di Unicredit, Mediobanca e Rcs. Per il patron dei freni Brembo e vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, invece, oltre al Chilometro rosso c’è spazio anche per la ex Autostrade per l’Italia dei Benetton, Atlantia, per Italcementi, per gli pneumatici di Pirelli & C, i fiori di Ciccolella e i treni della Nuovo Trasporto Viaggiatori di Montezemolo.

I RECORD DELLE CARICHE VA AI SUPER CONSULENTI

Dove poi la mano diretta dell’imprenditore non può o non vuole arrivare, largo a consulenti e uomini di comprovata fiducia. Primato indiscutibile nella prima sottocategoria a Massimo Cremona, associato e fondatore dell’apprezzato studio milanese di fiscalisti Pirola Pennuto Zei, che assomma sotto di sè ben 49 incarichi. Professore a contratto all’università Cattolica di Milano, è consulente di “importanti gruppi italiani ed esteri con particolare riferimento alle attività finanziarie, bancarie e assicurative”. Tra le numerose poltrone, accanto a quella nel consiglio di amministrazione della Compagnia Finanziaria De Benedetti, che attraverso Cir controlla L’Espresso, ne ha una nel collegio sindacale di Rcs Periodici e Rcs Digital e, per restare in tema Editoriale, un’altra nell’editrice Abitare Segesta (sempre Rcs). Ottimamente piazzato anche Bruno Ermolli, che oltre a sedere nelle principali società della famiglia Berlusconi, Fininvest, Mediaset, Arnoldo Mondadori, Mondadori France e Mediolanum, è presidente di Promos, l’azienda speciale della Camera di Commercio di Milano dedicata alle attività internazionali delle piccole e medie imprese locali, consigliere e membro di giunta della Camera stessa e, quindi, vicepresidente della Fondazione Teatro alla Scala, consigliere dell’Università Bocconi e del Politecnico di Milano, nonché consigliere, fresco di riconferma, della potente Fondazione Cariplo e membro dello European advisory council della banca d’affari americana Jp Morgan. Per restare vicino ad Arcore, se Ermolli si dà alla musica, il numero uno di Mediaset, Fedele Confalonieri, peraltro noto appassionato di pianoforte, preferisce l’editoria e i media con un posto nel consiglio del Il Giornale cui affianca una sedia nel direttivo della Confindustria milanese, Assolombarda, oltre alla presidenza della Federazione nazionale delle imprese televisive, all’incarico di consigliere della Fondazione Biblioteca di via Senato e alla poltrona nella giunta di Assonime. Tornando ai consulenti, un cenno merita Berardino Libonati, presidente di Telecom Italia Media, amministratore di Telecom Italia, Rcs, Esi e Pirelli&C., oltre che numero uno dell’Istituto Internazionale per l’unificazione del diritto privato internazionale. Tragli uomini di fiducia, non bisogna trascurare Massimo Pini, vicepresidente di Rcs Periodici, carica nata proprio con il suo ingresso nel consiglio della divisione del gruppo editoriale all’interno del quale rappresenta la famiglia Ligresti. Il craxiano Pini è anche consigliere e membro del comitato esecutivo di Milano Assicurazioni, carica che riveste anche per l’Istituto europeo di Oncologia di Milano per conto di Unicredit, consigliere della finanziaria dei Ligresti Finadin, consigliere e vicepresidente, nonché membro del comitato esecutivo, di Immobiliare Lombarda, consigliere e vicepresidente di Aeroporti di Roma fresco di riconferma e, infine, vicepresidente e membro del comitato esecutivo di Fondiaria Sai. Tra coloro che godono della piena fiducia di De Benedetti senior spicca invece Massimo Segre, 30 incarichi complessivi, tra i quali, solo per gli editori di Repubblica, il ruolo di consigliere di Cir, Cofide, Romed, Management&Capitali, Marco De Benedetti Consulting e di una delle ultime creature di casa De Benedetti che si occupa di noleggio di mezzi di trasporto aereo, La Farfalletta. Incarichi cui si aggiungono, tra gli altri, quello di consigliere di Borsa Italiana, di vicepresidente del travagliato gruppo immobiliare Ipi, già dell’immobiliarista Danilo Coppola, di sindaco della holding dei Pininfarina, la Pincar, nonché ovviamente, quella di socio amministratore dello Studio Segre.

I GRAND COMMIS TRA STATO E MERCATO

Fra i dirigenti, da segnalare il forte impegno di Enrico Cucchiani, numero uno di Allianz in Italia che, oltre ad avere una decina di incarichi per conto del proprio gruppo in Italia e all’estero, è anche consigliere di Pirelli & C, di Illycaffé, della Editoriale FVG – Divisione Il Piccolo (Gruppo L’Espresso), presidente della Mib Schhol of Management, membro dell’advisory council della Stanford University, membro della Trilateral commission, dell’Aspen Institute, del consiglio relazioni Usa-Italia, dell’Istituto per gli studi di politica internazionale Ispi, del foro di dialogo italo-tedesco, dell’advisory council della Bocconi International, delle Associazioni Civita e Intercultura e dell’Ania. Buon collezionista, poi, il neo presidente del patto di sindacato di Mediobanca Angelo Casò, che ricopre 14 incarichi. Si va dalla presidenza del collegio sindacale di Indesit Company (Merloni), Benetton Group, Vittoria Assicurazioni, Bracco, Bracco Imaging, Edizione (gruppo Benetton), Fiditalia (Société Générale) e Vestar Capital alla poltrona di sindaco del fondo di private equity Barclays. Pochi ma buoni, invece, per il presidente della banca del Papa, Ettore Gotti Tedeschi, numero uno dello Ior dal 2009, che è anche consigliere di Unifin, presidente di F2I, il fondo italiano per le infrastruttur e guidato da Vito Gamberale e sponsorizzato tra gli altri dalla CdP, consigliere della Cassa depositi e prestiti e della società di gestione del risparmio della Cassa cui fa capo il fondo nazionale per l’edilizia sociale, Cdp Investimenti, nonché rappresentante del Banco Santander in Italia. Massima analoga per Massimo Ponzellini, presidente sia della Banca Popolare di Milano che della multinazionale delle costruzioni Impregilo, consigliere e membro del comitato esecutivo dell'Istituto europeo di oncologia, vicepresidente di Ina Assitalia e consigliere e membro del comitato di gestione del Fondo interbancario di tutela dei depositi. L’avvicinarsi del 78esimo compleanno non frena poi l’attivismo di Franco Tatò presente in almeno 20 società italiane. Fresco di uscita dall’immobiliare Ipi e di nomina a liquidatore del gruppo Viaggi del Ventaglio, il marito di Sonia Raule è anche presidente del gruppo di marketing e comunicazione integrata quotato in Borsa Fullsix, amministratore delegato dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani, presidente e amministratore delegato della Mikado Film, presidente della banca d’affari milanese La Compagnia Finanziaria e della Lauda Air srl. Un capitolo a parte, infine, meriterebbe Fabrizio Palenzona. Il vicepresidente del gruppo Unicredit, trova tempo anche per i cda di Mediobanca, nonché per gli impegni in qualità di presidente di Assaeroporti, di Aeroporti di Roma, di Aviva Italia (assicurazioni), di Faiservice (autotrasporto), dell’Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori, di Conftrasporto, della Fondazione Slala – Sistema logistico del Nord Ovest d'Italia, oltre che per i cda dell’Associazione bancaria italiana, della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria e del comitato esecutivo della giunta degli Industriali di Roma.

L’elenco completo delle poltrone e delle società su www.ilfattoquotidiano.it

da Il Fatto Quotidiano del 5 giugno 2010
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

POLITICI SPENSIERATI IN FESTA AL QUIRINALE MENTRE IL POPOLO SOFFRE



Durante la seconda guerra mondiale, nei mesi dei più duri bombardamenti tedeschi su Londra, re Giorgio VI rimase ostentatamente nel suo palazzo londinese per mostrare ai suoi sudditi che condivideva con loro gli stessi rischi. In quegli anni Elisabetta, la futura regina, allora poco più che adolescente, serviva come autista nell’esercito di Sua Maestà e non risulta che abbia goduto di particolari protezioni. Alla guerra delle Falkland prese parte anche il principe Andrea, che rischiava più degli altri perché il suo scalpo sarebbe stato un formidabile colpo propagandistico per gli argentini.

Nella foto: Il Presidente Giorgio Napolitano nel corso del ricevimento in occasione della Festa Nazionale della Repubblica, 1 giugno 2010

C’era grande spensieratezza martedì al tradizionale ricevimento offerto dal Presidente della Repubblica nei giardini del Quirinale. Il più spensierato di tutti era il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi: una gag con Bersani, due con Rutelli, un siparietto con Mannehimer, uno con Giancarlo Giannini, una battuta con Cesa, un’altra con Barbara Palombelli e un «You are very beautiful» rivolto ad alta voce a una signora di colore, a conferma oltre, che del suo infallibile cattivo gusto, del suo inglese maccheronico.

Ma anche gli altri ospiti non scherzavano in fatto di spensieratezza. Nemici acerrimi che abitualmente si sbertucciano ogni giorno sugli schermi tv si sorridevano, si vezzeggiavano, si strizzavano l’occhio quasi increduli di aver fatto il colpo alla Ruota della Fortuna. Che del resto è quello che accade ogni sera nelle belle case romane, magari acquistate con i soldi di qualche generoso e disinteressato benefattore. C’era l’intero star system nazionale nei giardini del Quirinale: politici, manager dalla dubbia fama, personaggi della tv, giornalisti di regime, attori, veline mascherate da compagne di qualcuno. Non c’era il popolo nei giardini del Quirinale, nemmeno in forma simbolica, magari rappresentato da un centinaio di ex minatori del Sulcis Inglesiente da anni senza lavoro. Via gli straccioni, avrebbero guastato l’atmosfera festosa e spensierata del ricevimento in onore della Repubblica Democratica. Il popolo deve accontentarsi di guardare queste nuove aristocrazie dal buco della serratura, come accadeva quando Luigi XIV, il Re Sole - che però non pretendeva di essere democratico - dava le sue feste a Versailles.

Il popolo era altrove. A grattarsi le sue rogne, che sono tante e gravi. Se è vero che il 30% dei giovani (statistiche Istat) è senza lavoro e l’altro 70% rischia ogni giorno di perderlo mentre i disoccupati, nel complesso, sono due milioni e 220 mila, il 9% della popolazione. Se è vero che il nostro spensierato premier, insieme ai suoi supporters, ci informa ogni giorno che l’Italia è in ripresa, ma noi cittadini, a meno che non si appartenga all’allegra cricca degli ospiti dei ricevimenti del Quirinale, sperimentiamo ogni giorno, sulla nostra pelle, il contrario.

Probabilmente il popolo italiano, che tutto subisce, pecora da tosare, asino al basto, avrà guardato con invidiosa ammirazione la «fairy band» che l’altro giorno si è riunita festosa intorno a Napolitano e Berlusconi. Ma io credo che un po’ meno di esibita spensieratezza e un po’ più di austerità anche formale (la forma è spesso sostanza) non avrebbero guastato in un momento di crisi come questo su cui aleggia, oltretutto, un futuro anche più nero.
Ma noi non siamo inglesi. Loro sono un popolo, noi no. E hanno quindi una classe dirigente che nei momenti critici (Churchill docet) è all’altezza della situazione. Noi abbiamo quella che ci meritiamo, che in fondo, con la sua «spensieratezza» cialtrona, ci rispecchia abbastanza fedelmente.

Massimo Fini
Fonte: www.massimofini.it

Uscito su "Il gazzettino" il 04/06/2010
letto su: www.comedonchisciotte.org

giovedì 3 giugno 2010

L'asino e l'alta finanza



Qualche tempo fa Billy comprò da un contadino un asino per 100 dollari.
Il contadino gli assicurò che gli avrebbe consegnato l’asino il giorno seguente.

Il giorno dopo il contadino si recò da Billy e gli disse: “Mi dispiace ma ho cattive notizie: l’asino è morto.”
Billy rispose: “Allora dammi indietro i miei 100 dollari”
E il contadino: “Non posso, li ho già spesi”.
A quel punto Billy si fece pensieroso, poi disse al contadino: “Va bene, allora dammi l’asino morto.”
- “E che te ne fai di un asino morto, Billy?”
- “Organizzo una lotteria e lo metto come premio”
Il contadino gli disse ironico: “Non puoi vendere biglietti con un asino morto in palio”.
Allorché Billy rispose: “Certo che posso, semplicemente non dirò a nessuno che è morto”.

Un mese dopo il contadino incontrò di nuovo Billy, così gli chiese: “Come è andata a finire con l’asino morto?”
- “L’ho messo come premio ad una lotteria, ho venduto 500 biglietti a due dollari l’uno e così ho guadagnato 998 dollari”
- “E non si è lamentato nessuno?”
- “Solo il tipo che ha vinto la lotteria, e per farlo smettere di lagnarsi gli ho restituito i suoi due dollari”

Billy attualmente lavora per la Goldman Sachs.

fonte: http://santaruina.splinder.com

mercoledì 2 giugno 2010

Cavie umane Tratto dal libro: "Cavie umane nel Nuovo Millennio", ed. Medea

Cavie umane
Tratto dal libro: "Cavie umane nel Nuovo Millennio", ed. Medea

Più della metà dei farmaci approvati presentano gravi reazioni avverse non scoperte nelle fasi di sviluppo e ricerca precedenti alla commercializzazione (1).
I soli Stati Uniti registrano più di due milioni di casi di gravi reazioni avverse ogni anno con più di centomila casi di morte (2).
Questi dati non vengono quasi mai diffusi dai media che, di solito, si concentrano esclusivamente sugli scandali del singolo farmaco, che viene ritirato dal mercato, oppure sulla spregiudicatezza delle sperimentazioni nel terzo mondo.
Si tratta di dati che si prestano ad una doppia lettura: da una parte vi è chi sostiene l’abolizione di pratiche altamente insicure e con potenziali devastanti, dall'altra vi sono i sostenitori della ricerca farmacologica, per i quali i danni collaterali sono inevitabili sacrifici sull'altare della scienza.

Quel che conta, però, è che in entrambi i casi stiamo parlando, di farmaci che avevano passato tutti i test di sicurezza previsti dalle legislazioni nazionali e internazionali.
Più di centomila casi di morte nei soli Stati Uniti a causa di quei farmaci considerati abbastanza sicuri da essere commercializzati.

Ebbene: si consideri che nel mio lavoro vengo a contatto molto spesso con farmaci così devastanti da non ricevere neanche l’autorizzazione al commercio.
E scordatevi la sperimentazione animale come metodica di valutazione della sicurezza di un nuovo farmaco: non funziona e, in seguito, capirete il perché.
Le vere cavie sono uomini e donne talmente disperati da prestarsi alle sperimentazioni.
Questi uomini e donne si affidano a me, o a persone come me, per essere sottoposti a esperimento.
In alcuni casi si tratta di persone sane che, in cambio di soldi, assumono, le nuove molecole sviluppate in laboratorio affinché ne sia valutata l’efficacia o la pericolosità; in altri casi si tratta di persone già malate che si offrono gratuitamente per alimentare una speranza.

Dopo una prima fase di prove su animali, che non fornisce dati utili ma che è necessaria esclusivamente ad ottenere le autorizzazioni per procedere alle sperimentazioni successive, iniziano, per un obbligo di legge, le sperimentazioni umane.

Il vero scandalo non sono i morti da farmaci in commercio che, rispetto a qualche decennio fa, sono molto minori. Non sono i farmaci che vengono ritirati dal mercato perché più dannosi che benefici. Non sono i singoli casi di reazioni allergiche.
Il vero scandalo sono le sperimentazioni prima della messa in commercio.
Il vero scandalo sono le prove su uomini e donne di molecole nuove di cui non si sa praticamente nulla; sono le false speranze che si danno ai malati che si offrono come cavia; sono gli uomini tranquillizzati da inutili dati su animali.

E sono le leggi che permettono tutto questo. Le legislazioni che regolamentano la sperimentazione sull'uomo sono sostanzialmente simili per l’Unione Europea, da cui derivano poi le singole leggi nazionali, e per gli Stati Uniti. In Svizzera, patria di molte multinazionali del farmaco, la legge attuale sostanzialmente trascura la tutela delle cavie umane, tanto che è al vaglio un nuovo progetto di legge sulla ricerca sull’essere umano.
(…)

Le Investigator's Brochure
Al cambio attuale si parla di circa 700 euro = 1043 dollari = 1200 franchi svizzeri.
Tanto vale la vita di una cavia umana.
Un cane beagle (razza canina utilizzata nei laboratori) costa circa 300 euro.

Ormai ogni volta che mi arriva in mano una nuova Investigator's Brochure mi vengono i sudori freddi.
Le Investigator's Brochure sono tra le cose più segrete che possano esistere.
Sono dei dossier delle industrie del farmaco che raccolgono TUTTE le informazioni su una nuova molecola non ancora in commercio, le proprietà chimico-fisiche e farmaceutiche, gli studi eseguiti con i primi metodi di screening in vitro, i risultati delle sperimentazioni sugli animali, i risultati delle sperimentazioni sull'uomo, gli effetti collaterali, la validità presunta o verificata del trattamento terapeutico, ecc.

Allegato alla Investigator's Brochure c'è un contratto della stessa società che garantisce la copertura economica della sperimentazione sull'uomo.
In altre parole, la società che paga il tutto, nella Investigator's Brochure, è definita "Sponsor".
Ad esempio, un contratto tipico di una importante società che chiede di trovare e sperimentare su almeno 400-450 cavie già malate che si offrono gratis, offre in cambio circa 300 mila euro divisi tra versamenti subito, dopo l’arruolamento di un determinato numero di cavie e alla fine dello studio.
Quindi, in totale, più di 650 euro a cavia.

Le Investigator's Brochure variano nel tempo all’aumentare delle informazioni.
Ad esempio una Brochure Versione 1 di una nuova molecola in prova è una documentazione di vari risultati, ottenuti principalmente su animali, e con nessuna informazione per l’uorno. Quindi è la più pericolosa perché qui le cavie umane dovranno testare una molecola di cui praticamente non si sa nulla rispetto alle reazione dell'organismo umano. E’ il massimo rischio possibile.
(…)

La prima Brochure di cui vi svelo il contenuto è una Versione 1, cioè una di quelle che ci arrivano per testate per la prima volta su un uomo una molecola nuova.
Sono poche pagine in quanto non esistono risultati validi da considerate.
Le prove su animali indicano che esistono reazioni avverse leggere e/o moderatamente gravi sia nei ratti che nelle scimmie soprattutto nei polmoni e nel fegato.
Già a pagina 2 dell'introduzione viene però specificato il nostro compito: cercare la Maximum Tolerate Dose (MTD), la dose massima tollerata (3).
In parole comprensibili anche ai non addetti ai lavori, quello che dovremo fare è:

1) trovare e convincere cavie umane a testare su di sé sostanze di cui non si sa praticamente nulla;

2) iniziare a sperimentare su di loro, aumentando la dose finché non si trova quella che uccide o fa rischiare la vita.

Prima ancora di addentrarci in studi specifici, dobbiamo capire fino a quanto possiamo "spingere" con le dosi, fino a quanto possiamo infierire. E per farlo non c 'è altro, modo se non quello di aumentare le dosi fino ad arrivare al punto in cui si manifestano significativi o devastanti effetti collaterali utili per le nostre annotazioni statistiche.

Informazioni: nessuna.
Rischio: massimo.

Attenzione, il rischio non è massimo solo perché non esistono informazioni utili; il rischio è massimo perché, andando quasi alla cieca, dobbiamo continuamente aumentare le dosi dell’esperimento fino a trovare la massima dose tollerata.
Se un primo esperimento non dà grossi effetti né positivi né negativi, dobbiamo rifarlo aumentando le dosi e cercare di "trovare" il limite.

Note
1) Moore T.J., Psaty B.M. & Furberg C.D. Time to act on drug safety. JAMA, 279: 1571-1573, 1998.
2) Lazarou J, Pomeranz B.H., Corey PN. Incidence of adverse drug reactions in hospitalized patients. A meta-analysis ofprospective studies. JAMA, 279:1200-1205, 1998.
3) The anticipated first-in-patient study will be a ... parallel-arm escalation study designed to access safety and tolerability, and to determine wheter the maximum tolerated dose (MTD) of... is reached ...

fonte:http://www.disinformazione.it

Berlusconi a Ballarò come ai bei tempi dell’editto bulgaro

Il premier telefona per replicare a Giannini di Repubblica e a Pagnoncelli dell’Ipsos e poi attacca il telefono inveendo contro la tv pubblica. Floris: “Non si può insultare e attaccare, lo facevo da bambino”.



“Non si può insultare e attaccare il telefono, lo facevo quand’ero ragazzino”: la rispostaccia di Giovanni Floris è dedicata la presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che ha appena telefonato alla sua trasmissione per replicare a Massimo Giannini di Repubblica e Nando Pagnoncelli di Ipsos.


LO SVENTURATO RISPOSE – Giannini era colpevole di aver detto che il premier, in altri tempi, aveva fatto l’elogio dell’evasione fiscale, mentre oggi parlava di troppo “nero”. Berlusconi lo ha accusato di aver detto falsità, visto che i suoi governi hanno sempre fatto lotta all’evasione. Pagnoncelli invece era reo di aver presentato sondaggi con dati negativi per il premier, mentre lui – lo ha ricordato – ha dati che gli garantiscono grande consenso politico. Poi il premier ha attaccato il telefono, senza aspettare le repliche degli interessati. Che però non si sono fatte attendere. Giannini: “Dal capo del partito dell’Amore mi sarei aspettato tutt’altro comportamento”. Pagnoncelli: “La mia società è quotata alla Borsa di Parigi, non posso essere insultato dicendomi che trucco i dati“.

VERAMENTE AVEVA DETTO - Forse Silvio ha un vuoto di memoria, e non ricorda di aver detto: ““se lo Stato ti chiede un terzo di quanto guadagni allora la tassazione ti appare una cosa giusta, ma se ti chiede il 50-60% ti sembra una cosa indebita e ti senti anche un pò giustificato a mettere in atto procedure di elusione e a volte anche di evasione”, il 2 aprile 2008. La rissa a Ballarò continua poi con Tremonti, che parla di volgarità del dibattito, e Giannini che alla Robert De Niro in Taxi Driver gli rispondeva “Ma sta dicendo a me?“.

fonte: http://www.giornalettismo.com/

martedì 1 giugno 2010

Moni Ovadia: io sono solidale col popolo palestinese, proprio perché sono ebreo



di Alberto Baldazzi

Moni Ovadia: anche oggi i telegiornali, forse di fronte alla gravità estrema di quello che è successo nei mari antistanti i territori palestinesi questa notte, hanno proprio difficoltà a rendere agli italiani l’assurdità di quello che è accaduto . Il problema di questa notte, di queste ore, ma in generale della questione medio - orientale. Ecco: tu come pensi che i nostri Media, e non soltanto quelli italiani, abbiano rappresentato questo dramma, e lo stiano rappresentando?
“No, non lo rappresentano, perché sono … con rarissime eccezioni … presi da se stessi, cioè: la prima preoccupazione che hanno è “ stiamo attenti a quello che diciamo”, non “ stiamo attenti a quello che dobbiamo dire”, e quindi “ diciamolo bene, in modo da mettere l’accento sulla gravità e sulla responsabilità”, ma “ stiamo attenti a come lo diciamo, che poi non ne dobbiamo subirne delle conseguenze …”. La pavidità, e l’auto-perpetuazione di un sistema che non è più di informazione , ma di auto comunicazione; è questo che domina.”

Sarebbe facile dire: stanotte è stato compiuto un atto di terrorismo internazionale in pieno Mediterraneo; però non lo dice nessuno.”
“Si , secondo me, tecnicamente; lo dico, per non lasciarmi andare alle mie emozioni: tecnicamente si tratta di un atto di terrorismo; è tecnicamente un atto di terrorismo e pirateria perché intanto è avvenuto in acque internazionali. Secondo: c’erano mille altri modi per evitare questa cosa; prendere degli accordi prima dicendo: “fateci vedere che trasportate merci umanitarie, dimostrateci che non trasportate materiale aggressivo … e noi vi lasceremo passare, per andare a portare soccorso alle popolazioni che ne anno bisogno”. Faccio un ipotesi, non era semplice fare così ? : “ Vogliamo che le popolazioni non soffrano, noi siamo favorevoli all’arrivo di aiuti: se questi aiuti, garantiteci che sono aiuti per la protezione civile, e noi vi lasceremo passare”. Oppure mettere in mezzo l’ONU, e dire “Fate voi la mediazione tra noi, i nostri problemi, e questo convoglio umanitario.” Ma, gli israeliani non hanno mai voluto interposizione di forze internazionali. Mai, tranne in Libano, perché il Libano, l’ultima avventura del Libano, secondo me, per gli israeliani è stata una vera e propria sconfitta.”

Essendo stati sconfitti sul campo … hanno chiamato i “nostri.”
“Sono stati sconfitti sul campo, per la prima volta, sai … gli Hezbollah continuavano a tirare i missili, mentre l’esercito israeliano distruggeva un quarto del Libano, ed anche la “mitica” intelligence dello stato di Israele, il Mossad, o lo Shin Bet, non era riuscito a capire cosa stava succedendo”

Per i nostri lettori, per i nostri ascoltatori : ti conoscono tutti, ma io ribadirei che tu non sei un “estremista palestinese”, vero? … le tue radici, la tua cultura …
Ma, naturalmente io sono solidale col popolo palestinese, proprio perché sono ebreo. È il mio dovere di ebreo essere solidale con tutte le persone che soffrono a causa di ingiustizie, e quindi lo sono come essere umano, prima di tutto, perché questa e la mia … prima, come dire, identità; quella di essere umano universale, perché se non avessi la dignità di essere umano, non potrei neanche essere ebreo. Poi la mia identità ebraica, che è una delle mie altre identità, alla quale io tengo molto, mi ha insegnato che bisogna praticare la giustizia nei confronti di tutti; che bisogna praticare il riconoscimento dell’altro e l’accoglienza dell’altro; quindi io non sono … pro-palestinese, o cose di questo genere: io semplicemente assumo atteggiamenti che ritengo giusti, in primo luogo seguendo l’etica umana, quella dei diritti universali, in secondo luogo, l’etica della Torah, che è un riferimento che per altro è in piena sintonia con i diritti fondamentali dell’uomo”

Moni, capita spesso che i media italiani ti chiamino per intervenire in questo senso? Per dire queste cose che stai dicendo a noi?”
“Si … mi chiamano, naturalmente … i media un po’ più coraggiosi; una volta ci capitava di scrivere sulla grande stampa, ma non accade più. Ma io … non me ne lamento, perché io sono quello di prima, io non sono cambiato. E ciò che domina in particolare la stampa , una certa stampa nazionale, è il pensiero: “ Tengo famiglia”. Io invece, proprio perché gli ebrei sono stati sterminati, perché … milioni di masse grigie, ed i loro governanti girarono la testa dall’altra parte. Non solo i carnefici: quelli fecero lo sporco lavoro, ma non avrebbero potuto farlo, se altri non avessero storto la testa. Io ho giurato a me stesso che nei confronti di nessuno girerò la testa dall’altra parte; la violenza, il sopruso, sopraffazione, ingiustizia, non hanno patria! Non hanno bandiere, non hanno appartenenze etniche.

fonte:http://www.articolo21.org

Il governo e la danza dello scaricabarile (di Luca Telese)

1 giugno 2010
Da Tremonti a Bondi, il gioco delle colpe (degli altri)

È come un passo di danza, come un giro di valzer, come il gioco della sedia, in cui tutti corrono e quando finisce la musica qualcuno, immancabilmente, resta col culo per terra (ad esempio uno con la faccia da martire predestinato, il povero Sandro Bondi). È come un passo di danza, come un gran ballo, vagamente grottesco: il Titanic affonda, e da un paio di settimane nel governo si gioca danzando con lo scarica-barile, l’ultimo che resta nella pista del Transatlantico resta con il cerino in mano.


Silvio & Giulio. Esempio di scuola? La giornata di ieri. Abbiamo iniziato di mattina leggendo di Silvio Berlusconi furibondo: “Quante proteste, per colpa di Tremonti! Ora basta, la partita la gestiamo noi”. Poverino, era arrabbiato, gli avevano rovinato la piazza, facendo crescere il malcontento sociale (barile scaricato su Giulio). Solo mercoledì scorso, però, Berlusconi si era arrabbiato in conferenza stampa: “Tutte le divisioni di cui leggo sui giornali sono inventate... Se l’Italia può stare tranquilla è grazie a questi due signori” (lui stesso e Tremonti, ndr.)”. Si capisce, andavano d’amore e d’accordo, ministro e premier: tutte malizie, tentativi inutili di seminar zizzania (barile scaricato sui giornalisti).

Le lacrime di Bondi. E che dire del nostro ministro della Cultura? Lo avevamo lasciato nella sua fase “autarchica”, la settimana scorsa a Cannes. Così orgoglioso del suo governo, da dire: “Io in Francia, al festival, non ci vado”. Bravo, bravissimo. Si era sentito diffamato dal film di Sabina Guzzanti (il meraviglioso Draquila) che fra l’altro – come al solito – criticava senza averlo visto. Un classico del bondismo: indignazione pregiudiziale a tesi (barile scaricato sui diffama-tori comunisti del cinema italiano). Poi però la musica si è fermata di nuovo, l’orgoglio governista del ministro si è sedato, e ieri lo abbiamo sentito lamentarsi: “Sono stato esautorato!”. Ovvero. Colpito anche lui dalla scure dei tagli a sua insaputa. Evvai, altro barilone scaricato (stavolta sul ministro dell’Economia). Non è colpa sua, poverino. Un po’ come Claudio Scajola, quello che non si sarebbe mai dimesso, “Altrimenti sarebbe stato come ammettere di essere stato preso con il sorcio in bocca” (barile scaricato su se stesso a sua insaputa: come è noto, la pirlaggine esiste). Nella serata di ieri, però, abbiamo assistito a un altro giro di valzer: Tremonti spiega che deciderà insieme con lui, come tagliare e dove (l’onere della scelta ritorna su Bondi, autobarile). Così come lo stoico Ignazio La Russa, il nostro ministro della Difesa ci aveva spiegato: “I tagli li faccio, ma scelgo io dove” (scaricabarile in grigioverde: e continuiamo a pagare la missione in Libano, anche se non c’è più guerra).

I soldi ai partiti. In sette giorni di balli di gala, sul ponte del Titanic questo governo ha annunciato tutto e il contrario di tutto: ma intanto il taglio rigoroso dei soldi ai partiti è passato dal 50% al 10% (barile scaricato a chissà chi, i tesorieri di partito sospirano per lo scampato pericolo). E l’abolizione delle province? Via tutte, avevano detto in campagna elettorale, sia a destra che a sinistra. Anzi poi no, abolizione solo delle piccoline (dopo il successo della Lega). Poi voci sui giornali, indiscrezioni mappine. Poi di nuovo rettifica, di Silvio Berlusconi in persona: “Abbiamo fatto i conti, il risparmio non ci sarebbe” (scaribarile e anche bidone, stavolta perché il risparmio c’è, eccome). Alla fine l’ultima sentenza del Cavaliere: “Nel decreto non c'è nessun accenno alle province”. Ancora colpa nostra, ovviamente, il taglio ce lo siamo inventato noi della stampa. E gli ex aennini? Ballano e protestano, anche loro: “Insomma – spiegava Italo Bocchino – si ha la netta impressione che questa sia una manovra che non deve dispiacere agli alleati leghisti” (barile scaricato sul Carroccio, sacrosanto).

Gianfranco & Renato. E le intercettazioni? Il ballo più regale della giornata. "Ho dubbi sul testo al Senato del disegno di legge” , ci spiegava giustamente Fini (barile scaricato sui berluscones). Risposta di Schifani, noto garante delle istituzioni: “Non mi sognerei mai di dare giudizi politici o di merito su argomenti all'esame dell'altro ramo del Parlamento” (barile scaricato su Fini). Seguono colpi e fendenti: “Rispetto il Senato – spiega il presidente della Camera – ma non abdico al mio ruolo politico. Su legalità e unità nazionale non desisto” (barile su Schifani). Controreplica del barilato: “Ho dato massimo sfogo alle mie esternazioni politiche nei sette anni in cui sono stato capogruppo. Da presidente del Senato invece voglio garantire il ruolo di terzietà” (minchia). È colpa di tutti. No, di qualcuno. Alla fine di nessuno. E la nave non va.

Da il Fatto Quotidiano dell'1 giugno
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

Le novità della Finanziaria

1 giugno 2010

Enti culturali - Ecco una delle principali modifiche al testo finale del decreto della manovra: è saltata, dopo l’intervento del presidente Napolitano: la lista degli enti culturali e storici per i quali era previsto un ridimensionamento dei finanziamenti. I fondi vengono comunque “ridotti del 50 per cento rispetto al 2009”. La norma coinvolge i ministeri competenti: “Al fine di procedere a razionalizzazione e riordino delle modalità con le quali lo Stato concorre al finanziamento dei predetti enti – è scritto nel testo – i ministri competenti con decreto da emanare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto stabiliscono il riparto delle risorse disponibili.

Province - Tra gli aspetti più discussi della Finanziaria c’è l’accorpamento delle province. Nelle bozze del decreto legge si prevedeva l’accorpamento delle amministrazioni provinciali con meno di 220 mila abitanti. Tutti i commi dedicati alle province sono saltati nella versione definitiva del decreto legge: segno che non ci sarà nessuna soppressione delle micro province. Aumentano continuamente anche i micro comuni: nel 1951 erano 7810, oggi ne abbiamo 8101. Solo in Lombardia ci sono 1546 comuni, 146 dei quali sono sotto i mille abitanti. L’aumento (costoso) degli organismi comunali e provinciali è in decisa controtendenza rispetto al resto d’Europa.

Turisti a Roma - Nel testo definitivo della manovra si conferma quanto trapelato nei giorni scorsi, cioè che verrà richiesto un contributo di soggiorno a tutti i turisti che visiteranno la capitale. Nel decreto legge, alla voce “Roma Capitale”, si prescrive infatti che si debbano versare “fino all’importo massimo di 10 euro per notte”. Anche se, a quanto si apprende, la cifra completa di 10 euro la pagherà solo chi spenderà più di 300 euro a notte. Saranno invece esentati pensioni e bed&breakfast. A Roma questa tassa si pagherà a partire dal 2011. Inoltre è prevista la “maggiorazione, fino al 3 per mille, dell’Ici sulle abitazioni diverse dalla prima casa, tenute a disposizione”.

I soldi europei - Per quanto riguarda i fondi europei per le aree sottosviluppate, si era in un primo tempo ipotizzato che potessero essere gestiti direttamente da Palazzo Chigi. Invece i fondi Fas rimarranno di competenza del ministero dello Sviluppo economico, pur prevedendo una ricognizione che in 60 giorni dovrà essere fatta con decreto del presidente del Consiglio di concerto con i ministri dell’Economia e dello Sviluppo. “Le risorse del fondo per le aree sottoutilizzate restano nello stato di previsione del ministero dello Sviluppo economico. Restano ferme le funzioni di controllo e monitoraggio della Ragioneria generale dello Stato. Viene poi trasferita al ministero dello Sviluppo la vigilanza sul “Comitato Nazionale permanente per il microcredito”.

Inail e Inps - Resta nel testo finale della manovra la modifica degli enti previdenziali, già prevista nelle bozze. Il decreto legge prevede infatti l’accorpamento degli enti a Inail e Inps. Vengono cancellati anche Isae e l’Ente italiano della Montagna, che finiscono nei rispettivi ministeri di competenza. In particolare – come è scritto nell’articolo 7 della Finanziaria – l’Ipsema e l’Ispesl vedranno passare le funzioni all’Inail; l’Ipost all’Inps. Vengono soppressi anche l’istituto affari sociali, le cui funzioni passano all’Isfol e l’Enappsmasad, cioè l’ente nazionale di assistenza e previdenza per i pittori e scultori, musicisti, scrittori e autori drammatici che passa all’Enpals.

Da il Fatto Quotidiano dell'1 giugno
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

lunedì 31 maggio 2010

Le ultime due leggi ad personam dell'era Berlusconi - di Marco Travaglio

31 maggio 2010

La prima riguarda i 20 milioni elargiti alla banda larga. Una mancetta per non mettere a rischio il monopolio Mediaset. La seconda è la cosidetta salva-Mondadori

La marea marron che sommerge l’Italia da 16 anni non accenna a fermarsi: falliti anche gli ultimi tentativi di bloccare la falla a Palazzo Chigi da cui fuoriesce il liquame maleodorante pompato dalla compagnia Pdl, negli ultimi giorni si sono registrate altre due puzzolentissime leggi ad personam, la trentanovesima e la quarantesima dell’Era Berlusconiana. Che però, confuse nell’immensa chiazza scura, sono passate praticamente inosservate agli occhi di tutti, eccezion fatta per alcuni specialisti che le hanno notate, peraltro inascoltati. La prima (anzi, la trentanovesima), segnalata ieri da Giovanni Valentini su Repubblica, è la mancetta di 20 milioni elargita dal governo delle tre I (Impresa, Istruzione e Internet) ai giovani internettiani per lo sviluppo (si fa per dire) della banda larga o larghissima. Il governo Prodi ne aveva stanziati 900 di milioni ed era stato irriso dal centrodestra perché erano troppo pochi: per lo sviluppo della banda larga o larghissima occorrono almeno 3 miliardi.

Soldi buttati in un momento di crisi? No, un investimento strategico per uscire dalla crisi: secondo il presidente Agcom Corrado Calabrò, lo sviluppo della banda larga “può accrescere il Pil dell’1,5-2 per cento”, facendo da volàno – spiega Valentini – “alla produzione, all’occupazione, al commercio, ai consumi, a tutta l’economia e in particolare a quella meridionale”. Spendi 1 incassi 100. Perché allora il governo risparmia sulla banda larga? Lo sviluppo della tv via Internet minaccia il monopolio di quella via etere, di cui Mediaset rappresenta quasi il 50 per cento in termini di ascolti e oltre il 60 in termini di pubblicità. “Nel contempo – nota Valentini – lo Stato italiano rinuncia a incassare oltre 3 miliardi di euro, escludendo l’asta competitiva tra gli operatori di Tlc sulle nuove frequenze del digitale terrestre, come ha fatto per esempio la Germania, per regalarle alle emittenti televisive nazionali e locali, tra cui quelle del premier”, che “pagano un canone d’uso irrisorio pari all’1% del fatturato”. E meno male che B. ripete, a proposito dei sacrifici da 25 miliardi imposti dalla manovra, che “siamo tutti sulla stessa barca” (il nuovo yacht di Pier Silvio).

La seconda legge ad personam dell’ultima settimana (la quarantesima in 16 anni fatta da B. per B.) è la salva-Mondadori. Ci aveva già provato a fine anno con la Finanziaria e poi col decreto Milleproroghe, ma era mancato il tempo. Ora l’ha fatta infilare nel decreto Incentivi 40/2010 (comicamente intitolato “Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali”), primo firmatario Alessandro Pagano del Pdl, che nel suo sito l’ha definito “mini-condono”. Mini un corno. Prevede che, in caso di due giudizi favorevoli consecutivi, “le controversie tributarie pendenti innanzi alla Cassazione possono essere estinte con il pagamento di un importo pari al 5% del valore della controversia... e contestuale alla rinuncia a ogni eventuale pretesa di equa riparazione”. Che c’è dietro? Semplice. La Mondadori, scippata nel 1990 da B. a De Benedetti grazie a una sentenza comprata, s’è vista contestare dall’Agenzia delle Entrate un’evasione Irpef e Ilor da 200 milioni di euro sul 1991.

Dopo i primi due gradi di giudizio, vinti da Mondadori, la causa giace da dieci anni in Cassazione (il famoso processo breve) e a fine 2009, quando il presidente della sezione tributaria Enrico Altieri, temutissimo dagli evasori per il suo rigore, stava per decidere, se l’è vista scippare e trasferire alle sezioni unite. Così, in attesa della sentenza, è arrivata la leggina: se fosse condannata, la Mondadori pagherebbe 10 milioni anziché 200 (sempreché la Corte di Lussemburgo non accolga il ricorso per violazione della libera concorrenza annunciato in altre cause dal giudice Altieri). Il tutto per decreto firmato dal presidente della Repubblica e da quello del Consiglio, proprietario (peraltro abusivo) della Mondadori. Dal produttore al consumatore. Anzi, all’utilizzatore finale.

Da il Fatto Quotidiano del 30 maggio
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

Gesù riposa in India (?)


A nord della penisola indiana, in Kashmir, c’è un santuario che ospita due tombe, una delle quali sarebbe quella di Gesù

Gesù è morto come un uomo comune e giace in una tomba a Srinagar, capitale dello Stato indiano del Kashmir.
Sembra la sceneggiatura di un romanzo di Dan Brown, e invece è la Lonely Planet, famosa collana di guide turistiche, che riporta la descrizione della “tomba di Gesù”, nel sito sepolcrale di Roza Bal, il cui significato deriva dal kashmiro Rauza-Bal, “tomba del profeta”. A nulla è servita la presa di distanza pubblicata nella più recente edizione della guida sull’India: la tomba è ormai meta di pellegrinaggio da parte di stranieri curiosi e di teorici della cospirazione.

Il dibattito va avanti da decenni e sembra che la tomba contenga due siti di sepoltura: uno è quello di un santo musulmano del periodo medievale, Syed Naseerudin, l’altro è di un predicatore carismatico arrivato in Kashmir da Israele nel 30 d.C., Yuz Asaf, chiamato anche Issa.
Tutto il movimento che ruota attorno alla vicenda e i turisti che riempiono il sito sacro, non sono ben visti dalla popolazione musulmana locale, per la quale la tomba contiene i resti dell’antico santo Sufi, il più recente inquilino di Roza Bal, la cui vita è ampiamente documentata, e che ha attirato su di sé tutta l’attenzione religiosa in epoca recente.
Di Yuz Asaf, invece, si dice sia arrivato con la madre Maria, e il suo nome nella lingua del Kashmir vuol dire “il guaritore” o “il pastore”.

Le storie riguardanti versioni alternative o spurie del Nuovo Testamento, tra le quali la possibilità che Gesù sia sopravvissuto alla crocifissione e abbia viaggiato fino in Kashmir con la madre o con la moglie, sono molto antiche, ma negli ultimi cento anni hanno cominciato a destare sempre più interesse.
Della tomba di Roza Bal si hanno testimonianze dal 112 d.C., prima dell’avvento dell’Islam, ma sia i musulmani che i cristiani sono concordi nell’affermare che tutta questa storia è blasfema: per entrambe le religioni Gesù Cristo è stato assunto in cielo da Dio, e alcune sette credono in una sua seconda venuta.
Il guardiano del piccolo santuario che sorge a Srinagar dichiara con fermezza che entrambe le sepolture sono musulmane, ma i sostenitori della tesi che nel tempio di Roza Bal ci sia la tomba di Cristo portano diversi argomenti a favore delle loro teorie: tra loro c’è Suzanne Olsson, ricercatrice che vive a New York, autrice di “Jesus in India, the lost tomb”. La Olsson dice di essere la 59esima discendente di Cristo e ha un progetto dal nome ambizioso: “il Dna di Dio”, che vuole studiare sette siti sepolcrali tra Pakistan, Kashmir e Tibet, sperando che l’esame del Dna a Rosa Bal produca la prova conclusiva della sua discendenza. Sostiene anche che in quello che è oggi il Pakistan, dove sarebbe passata durante il suo viaggio, si trovi la tomba di Maria, in un sito noto col nome di Murree.

I libri sull’argomento. Sull’argomento, oltre a quello della Olsson, sono stati scritti diversi libri fin dal secolo scorso: un avvocato francese per primo propose l’idea che Gesù avesse passato del tempo in India in un libro del 1869, The Bible in India. C’è poi un autore russo, Nicolas Notovich, che scrisse nel 1890 The Unknown life of Jesus Christ. Più di recente troviamo una serie di libri pubblicati da una setta indiana, la setta di Ahmadiyya, e un giornalista locale, Aziz Kashmiri, è coautore nel 1973 di un altro libro sull’argomento con il professor Fida Hassnain, ex direttore della sezione archeologica dei musei in Jammu e Kashmir. Oltre a libri di inchiesta e saggi, troviamo anche romanzi ben documentati, come il thriller The Rozabal line, di Ashwin Sanghi, del 2007.

Le tesi. Le principali tesi, riportate nelle diverse pubblicazioni che vogliono provare la presenza di Cristo a Roza Bal, partono dalla considerazione dei cosiddetti anni mancanti nella vita di Gesù, quelli tra i 12 e i 30 anni, di cui non c’è traccia del Nuovo Testamento. L’autore russo dell’ottocento, Notovich, parla di alcuni rotoli buddisti ritrovati in un monastero nella regione di Ladakh, dove si narra della presenza di Gesù in India proprio in quegli anni, impegnato nello studio del buddismo. Il giornalista Kashmiri poi, insieme al prof. Hassnain, espone la tesi che Gesù sia morto in India alla veneranda età di 120 anni. Un legame storico legherebbe Gesù e l’area geografica del Kashmir: l’origine dei Kashmiri e dei Pashtun afghani risalirebbe alle dieci tribù perdute di Israele, i popoli stabilitisi in nuovi Paesi dopo essere andati via da Israele nel periodo babilonese, nel 720 circa a.C., è per questo motivo che Gesù sarebbe tornato tra la sua gente.
La Olsson fa notare invece che il sarcofago a Roza Bal è posizionato da est verso ovest, come vuole la tradizione giudaica, al contrario di quella musulmana, che segue la direttrice nord-sud, ed è poi stato coperto da una pietra direzionata da nord a sud per conferire al luogo, secondo la sua spiegazione, un’identità musulmana. Inoltre i piedi di Yuz Asaf, scolpiti sulla pietra, mostrano i segni di ferite del tutto simili a quelle inferte da un chiodo che li attraversa quando sono uno sopra all’altro durante la crocifissione, e in Asia non c’è nessuna tradizione o traccia storica di crocifissioni. Altre sepolture poi, oltre a quella di Murree, testimonierebbero i legami tra il Kashmir e la tradizione giudaica: la tomba di Mosè e quella del fratello Aronne che si troverebbero a Bandipora e Harwan, sempre in linea est-ovest.

Una cosa è certa, se tutte queste tesi possono dimostrare che il sepolcro di Roza Bal sia di matrice giudaica, ben altra cosa è provare che si tratti della tomba di Gesù il nazareno. Tuttavia il principale problema per Suzanne Olsson e il suo progetto è un’altro: l’idea di fare il test del Dna è visto come una profanazione del santuario da parte della popolazione di Srinagar. Le cose vanno meglio in Pakistan dove si trova la tomba di Maria, e il governo ha già dato il suo appoggio al progetto, anche mettendo a disposizione tecnologie militari per eseguire i rilievi. In Kashmir è però difficile che le cose vadano allo stesso modo, visto che un simile pronunciamento da parte del governo scatenerebbe accese proteste da parte di chi ha già definito folle la ricercatrice americana, e il santuario ad aprile è stato chiuso a seguito di un tentativo della Olsson di introdurvisi ed effettuare il test.
Dopo vent’anni di guerra indipendentista, lo stato di Jammu e Kashmir sta vivendo un periodo di relativa tranquillità, e il governo indiano non vuole turbare la fragile calma che si è venuta a creare autorizzando iniziative che possano far riesplodere la violenza religiosa.

Alessandro Micci
fonte: http://it.peacereporter.net

Israele ha attaccato la Freedonm Flottilla. Ci sono morti e feriti, ma le cifre sono ancora poco chiare

Israele ha attaccato la Freedonm Flottilla. Ci sono morti e feriti, ma le cifre sono ancora poco chiare

L'attacco è avvenuto in acque internazionali, contro la nave turca Mavi Marmara. Secondo una televisione privataisraeliana i morti sono quindici , trenta i feriti, di cui uno grave. Ma il numero delle vittime è ancora poco chiaro. Il governo e l'esercito di Tel Aviv non commentano. Media turchi hanno diffuso un sonoro in cui si sentono i colpi di pistola e immagini in cui si vedono almeno una trentina di feriti a bordo di una delle navi della flottiglia.

Le navi vengono dirottate verso il porto di Haifa.


La flottiglia era composta da numerose navi che intendevano portare 10.000 tonnellate di aiuti umanitari a Gaza, dove sarebbero dovute arrivare in giornata. Nella notte, l'attacco.

La radio israeliana ha riferito che ad Ankara il governo turco è stato convocato in seduta di emergenza e che l'ambasciatore di Israele è stato convocato al ministero degli esteri per una protesta.

Secondo l'emittente Ntv il ministro degli esteridi Ankara avrebbe trasferito all'ambasciatore israeliano la vibrante protesta del governo urco e avrebbe definito come 'inaccettabile' l'attacco di questa mattina.

Alcune navi della flottiglia battono bandiera turca e una ONG turca sarebbe uno dei principali organizzatori dell'intera operazione di invio di una flottiglia di aiuti a Gaza sotto assedio. Israele, che nega che a Gaza sia in atto una crisi umanitaria, aveva ripetutamente avvertito che avrebbe impedito alla flottiglia di arrivare a Gaza ma si era offerto di far pervenire a destinazione gli aiuti, dopo ispezione, tramite un valico terrestre. Le agenzie internazionali battono una prima reazone di un ministro israeliano. "Le immagini non sono certo piacevoli. Posso solo esprimere rammarico per tutte le vittime", ha detto il ministro israeliano per il Commercio e l'Industria, Binyamin Ben-Eliezer, alla radio dell'esercito.

fonte: http://it.peacereporter.net

domenica 30 maggio 2010

INGANNO E DEPRESSIONE INDOTTA - le menzogne del potere










DI MARCO DELLA LUNA
nuke.lia-online.org

La crisi è alle spalle - Non ci saranno nuovi sacrifici - Qualcuno ha pagato il mio appartamento a mia insaputa - Al salaria soprt village mi curavano l'ernia del disco.

Hanno mentito e mentono ancora. Hanno Mentito quando dichiararono che l’Euro avrebbe protetto il potere d’acquisto, e all’opposto lo ridusse del 40%. Era così sicuro e conveniente – dicevano – che non solo era superflua una consultazione popolare, ma anzi la gente doveva assolutamente pagare tasse aggiuntive per meritare il privilegio di entrare nell’Euro, nella Moneta Unica.

Mentirono sulla quantità di tasse da pagare per entrare nell’Euro: prima erano 5.000 miliardi di Lire, poi 10.000, poi 20.000. A un certo punto ci dissero che finalmente eravamo nell’Euro, nella Moneta Unica. Ma anche qui mentivano., e ora ce ne stiamo accorgendo: l’Euro non è una moneta unica. E’ una cosa molto diversa: è un insieme di parità fisse di cambio tra le varie monete partecipanti. E’ come il vecchio Sistema Monetario Europeo, saltato nei primi anni ’90, solo che ha introdotto banconote e spiccioli comuni, per corroborare l’illusione che sia una moneta unica.

Non è una moneta unica perché l’Euro viene prodotto dalla BCE e “venduto” ai singoli paesi contro titoli del debito pubblico dei singoli paesi. Ogni paese emette e vende i suoi propri titoli. Ogni paese, ogni debito pubblico, ha il suo rating e paga il suo tasso di interesse: più i suoi conti sono affidabili, meno paga. E le differenze possono essere elevate. Inoltre, le agenzie di rating possono giocare, e hanno giocato, a dividere l’Eurozona ribassando artatamente il rating di questo o quel paese finanziariamente in difficoltà. Si può arrivare a una situazione in cui la BCE dichiari che i titoli di un dato paese dell’Eurozona non siano più utilizzabili per acquistare Euro.

Affinché più paesi facciano una moneta unica, comune, è necessario che emettano titoli del debito pubblico comuni, ossia che unifichino i loro rispettivi debiti pubblici. Che paghino un unico tasso di interesse. Il che ovviamente non è avvenuto e non può avvenire: Germania e Francia non unificheranno mai i loro debiti pubblici con quelli di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia.

Quello che è avvenuto e che era prevedibile e inevitabile, e da alcuni è stato voluto, è che costringere sistemi economici poco efficienti a servirsi della medesima moneta dei sistemi economici più efficienti con cui avevano rapporti di concorrenza e/o di scambio commerciale, ha causato il declino e lo smantellamento dei sistemi economici inefficienti: Grecia, Meridione, Portogallo… Tanto più che, al contempo, arrivava l’attacco competitivo nei nuovi paesi comunitari est-europei nonché della Cina, dell’India, del Pakistan, del Marocco… Tra aree economiche aventi livelli di efficienza e di indebitamento molto distanti tra loro, non ci può essere una moneta comune. Ma non può nemmeno sopravvivere una parità comune, senza ammazzare le aree deboli. A meno che queste non prendano il potere politico sull’Unione e non sfruttino colonialmente quelle forti. Quindi l’Euro salterà, in un modo o nell’altro.

Intanto i banchieri portano avanti la loro politica e i loro affari. Ricordate quando le banche, la BCE, erogavano prestiti facili e a minimi tassi? E poi, quando famiglie e imprese si furono indebitate, strinsero i cordoni con Basilea I e Basilea II, mandando a rotoli l’economia? Causando una marea di insolvenze? E, quando i costi maggiori finanziari prodotti da questa stretta creditizia, cioè monetaria, e le insolvente, pure da essa prodotte, si tradussero in un generale rincaro dei prezzi, gridarono all’inflazione monetaria, e strinsero ancora di più i cordoni della liquidità, e alzarono ripetutamente i tassi, fino a ottenere il crollo dei mercati finanziari e dell’economia reale nel 2008? Vi ricordate che, allora, diciamo a fine luglio, dall’oggi al domani,contraddicendosi spudoratamente, “scoprirono” che c’era un drammatico bisogno di liquidità, e buttarono i tassi a zero? E usarono i governi per far rifinanziare banche e simili coi denari pubblici, cioè con pubblico indebitamento, togliendo i soldi all’economia reale e ai redditi e alla spesa pubblica? E avete notato come, con quei rifinanziamenti, le banche hanno imbastito tra loro un frenetico scambio di titoli finanziari per far risalire artificiosamente i mercati, inducendo risparmiatori fondi previdenziali e di investimento a metterci i loro soldi per rifarsi delle perdite del 2007-2008? E come hanno riportato i bonus dei loro CEO a livelli superiori al crollo delle borse?

Adesso la cosa si ripete: nuovo sacco dei redditi e dei risparmi per trasferire ricchezza al sistema bancario, anziché far pagare le banche autrici e beneficiarie di truffe e speculazioni distruttive.

L’inflazione rialza la testa e la BCE assicura che non tollererà che ciò avvenga. Ossia preannuncia e pregiustifica rialzi dei tassi. Ma sa benissimo che, oggi come prima del 2008, non c’è alcuna inflazione monetaria, proprio perché, al contrario di quanto assume (in ovvia mala fede) la BCE, l’economia reale sta morendo di scarsità di denaro disponibile. Quella falsamente presentata come inflazione da eccesso di moneta, in realtà è l’aumento dei costi finanziari (e conseguentemente dei prezzi di beni e servizi) dovuto appunto alla stretta creditizia di Basilea I, II e III , alla pratica sistematica dell’usura da parte delle banche di credito col tacito consenso delle banche centrali, all’aumento dei costi unitari industriali dovuto a diseconomie di scala (a loro volta dovute alla minor produzione e alla concorrenza cinese). Ma anche al fatto che banchieri e governanti hanno dirottato le risorse monetarie dai consumi, dai redditi, dagli investimenti al sostegno delle banche e della speculazione finanziaria, demonetizzando l’economia produttiva a favore di quella speculativa, e diffondendo insolvenze, fallimenti, licenziamenti.

Ora, con le manovre di aggiustamento dei conti, con nuove tasse, con ulteriori tagli dei redditi e della spesa pubblica, e insieme col rialzo dei tassi, è chiaro che puntano deliberatamente a produrre una depressione economica di prim’ordine e di lunga durata (una manovra che io interpreto, nel mio recente Oligarchia per Popoli Superflui, come finalizzata a salvare la Terra dall’inquinamento industriale e civile, dall’esaurimento delle materie prime, dalla sovrappopolazione). Ci sono precedenti: come provato dal prof. Richard Werner nei suoi saggi The Pricnes of the Yen e New Paradigm in Macroeconomics, una cosa analoga il sistema bancario internazionale ha già fatto nel 1991 al Giappone, per tagliare le gambe alla sua economia mediante una brusca ed economicamente ingiustificabile stretta monetaria, che bloccò l’espansione industriale e commerciale di quel paese, e ancora oggi lo mantiene nella stagnazione. E così facendo consentì l’ascesa dell’astro cinese, designato a comperare l’incessante emissione di t-bonds degli USA – USA che erano all’inizio di una lunga e costosissima serie di campagne belliche.

Quale che sia il fine reale della manovra bancaria per mandare l’Occidente in depressione economica, la realtà di tale manovra è tangibile, comprovata. E i politici, i governi, i parlamenti assecondano tale disegno depressivo. Se si volessero realmente opporre, i governi potrebbero facilmente farlo con operazioni sotto copertura nei confronti della grande finanza e delle sue agenzie di rating, analoghe a quelle che conducono nei confronti del terrorismo non finanziario.

In Italia e in altri paesi ci stupiamo che la classe dirigente (politici, grand commis), rubano, o mangiano, o arraffino, in modo non accidentale, non isolato, ma sistemico. Ma che altro potrebbe fare, se non questo, una classe dirigente che, nel sistema effettivo dei poteri, è sottoposta al potere finanziario, che è il braccio esecutivo e la maschera sporca di questi interessi, e che in questo ruolo saccheggia e boicotta i popoli che sulla carta dovrebbe rappresentare e amministrare? E’ inevitabile che arraffi in proprio, oltre a saccheggiare per essi. In Italia, con la tangentopoli bis, stanno sviando l’opinione pubblica dal male grande al male piccolo ma più accettabile all’opinione pubblica, che quindi viene condizionata a vedere il problema come di una classe dirigente diffusamente corrotta: un problema da risolvere con indagini e sanzioni e più richiami a valori etici.

I popoli, le masse, non sono, proprio perché numerosi, in grado di imparare, di capire, di evitare. Agiscono secondo emozioni, abitudini, imitazione. Altrimenti non sarebbero caduti nella trappola dei prestiti facili né in quella della crisi alle spalle. E non sono nemmeno in grado di coordinarsi, altrimenti avremmo già avuto una rivoluzione violenta negli USA come in Grecia, in Italia etc., contro questi parlamenti e questi governi che depredano le loro popolazioni su mandato dei banchieri, mentendo e ingannando sistematicamente in materia economica. Ma queste rivoluzioni sarebbero del tutto inutili, perché non vi è alternativa, nei nostri tempi, al governare i popoli attraverso lo strumento monetario e bancario, e agli strumenti più specificamente manipolatori. Quindi, se non scoppia la rivoluzione, non perdiamo nulla, tranne il sanguinoso spettacolo del popolo che sfoga la sua indignazione sulle piazze, facendo in pezzi ministri, onorevoli e senatori, boiardi di Stato e tutti gli altri da cui crede di essere stata ridotta in miseria.

Marco Della Luna
Fonte: http://nuke.lia-online.org/
17.05.2010
letto su: www.comedonchisciotte.org