lunedì 31 maggio 2010

Le ultime due leggi ad personam dell'era Berlusconi - di Marco Travaglio

31 maggio 2010

La prima riguarda i 20 milioni elargiti alla banda larga. Una mancetta per non mettere a rischio il monopolio Mediaset. La seconda è la cosidetta salva-Mondadori

La marea marron che sommerge l’Italia da 16 anni non accenna a fermarsi: falliti anche gli ultimi tentativi di bloccare la falla a Palazzo Chigi da cui fuoriesce il liquame maleodorante pompato dalla compagnia Pdl, negli ultimi giorni si sono registrate altre due puzzolentissime leggi ad personam, la trentanovesima e la quarantesima dell’Era Berlusconiana. Che però, confuse nell’immensa chiazza scura, sono passate praticamente inosservate agli occhi di tutti, eccezion fatta per alcuni specialisti che le hanno notate, peraltro inascoltati. La prima (anzi, la trentanovesima), segnalata ieri da Giovanni Valentini su Repubblica, è la mancetta di 20 milioni elargita dal governo delle tre I (Impresa, Istruzione e Internet) ai giovani internettiani per lo sviluppo (si fa per dire) della banda larga o larghissima. Il governo Prodi ne aveva stanziati 900 di milioni ed era stato irriso dal centrodestra perché erano troppo pochi: per lo sviluppo della banda larga o larghissima occorrono almeno 3 miliardi.

Soldi buttati in un momento di crisi? No, un investimento strategico per uscire dalla crisi: secondo il presidente Agcom Corrado Calabrò, lo sviluppo della banda larga “può accrescere il Pil dell’1,5-2 per cento”, facendo da volàno – spiega Valentini – “alla produzione, all’occupazione, al commercio, ai consumi, a tutta l’economia e in particolare a quella meridionale”. Spendi 1 incassi 100. Perché allora il governo risparmia sulla banda larga? Lo sviluppo della tv via Internet minaccia il monopolio di quella via etere, di cui Mediaset rappresenta quasi il 50 per cento in termini di ascolti e oltre il 60 in termini di pubblicità. “Nel contempo – nota Valentini – lo Stato italiano rinuncia a incassare oltre 3 miliardi di euro, escludendo l’asta competitiva tra gli operatori di Tlc sulle nuove frequenze del digitale terrestre, come ha fatto per esempio la Germania, per regalarle alle emittenti televisive nazionali e locali, tra cui quelle del premier”, che “pagano un canone d’uso irrisorio pari all’1% del fatturato”. E meno male che B. ripete, a proposito dei sacrifici da 25 miliardi imposti dalla manovra, che “siamo tutti sulla stessa barca” (il nuovo yacht di Pier Silvio).

La seconda legge ad personam dell’ultima settimana (la quarantesima in 16 anni fatta da B. per B.) è la salva-Mondadori. Ci aveva già provato a fine anno con la Finanziaria e poi col decreto Milleproroghe, ma era mancato il tempo. Ora l’ha fatta infilare nel decreto Incentivi 40/2010 (comicamente intitolato “Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie in materia di contrasto alle frodi fiscali”), primo firmatario Alessandro Pagano del Pdl, che nel suo sito l’ha definito “mini-condono”. Mini un corno. Prevede che, in caso di due giudizi favorevoli consecutivi, “le controversie tributarie pendenti innanzi alla Cassazione possono essere estinte con il pagamento di un importo pari al 5% del valore della controversia... e contestuale alla rinuncia a ogni eventuale pretesa di equa riparazione”. Che c’è dietro? Semplice. La Mondadori, scippata nel 1990 da B. a De Benedetti grazie a una sentenza comprata, s’è vista contestare dall’Agenzia delle Entrate un’evasione Irpef e Ilor da 200 milioni di euro sul 1991.

Dopo i primi due gradi di giudizio, vinti da Mondadori, la causa giace da dieci anni in Cassazione (il famoso processo breve) e a fine 2009, quando il presidente della sezione tributaria Enrico Altieri, temutissimo dagli evasori per il suo rigore, stava per decidere, se l’è vista scippare e trasferire alle sezioni unite. Così, in attesa della sentenza, è arrivata la leggina: se fosse condannata, la Mondadori pagherebbe 10 milioni anziché 200 (sempreché la Corte di Lussemburgo non accolga il ricorso per violazione della libera concorrenza annunciato in altre cause dal giudice Altieri). Il tutto per decreto firmato dal presidente della Repubblica e da quello del Consiglio, proprietario (peraltro abusivo) della Mondadori. Dal produttore al consumatore. Anzi, all’utilizzatore finale.

Da il Fatto Quotidiano del 30 maggio
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

Gesù riposa in India (?)


A nord della penisola indiana, in Kashmir, c’è un santuario che ospita due tombe, una delle quali sarebbe quella di Gesù

Gesù è morto come un uomo comune e giace in una tomba a Srinagar, capitale dello Stato indiano del Kashmir.
Sembra la sceneggiatura di un romanzo di Dan Brown, e invece è la Lonely Planet, famosa collana di guide turistiche, che riporta la descrizione della “tomba di Gesù”, nel sito sepolcrale di Roza Bal, il cui significato deriva dal kashmiro Rauza-Bal, “tomba del profeta”. A nulla è servita la presa di distanza pubblicata nella più recente edizione della guida sull’India: la tomba è ormai meta di pellegrinaggio da parte di stranieri curiosi e di teorici della cospirazione.

Il dibattito va avanti da decenni e sembra che la tomba contenga due siti di sepoltura: uno è quello di un santo musulmano del periodo medievale, Syed Naseerudin, l’altro è di un predicatore carismatico arrivato in Kashmir da Israele nel 30 d.C., Yuz Asaf, chiamato anche Issa.
Tutto il movimento che ruota attorno alla vicenda e i turisti che riempiono il sito sacro, non sono ben visti dalla popolazione musulmana locale, per la quale la tomba contiene i resti dell’antico santo Sufi, il più recente inquilino di Roza Bal, la cui vita è ampiamente documentata, e che ha attirato su di sé tutta l’attenzione religiosa in epoca recente.
Di Yuz Asaf, invece, si dice sia arrivato con la madre Maria, e il suo nome nella lingua del Kashmir vuol dire “il guaritore” o “il pastore”.

Le storie riguardanti versioni alternative o spurie del Nuovo Testamento, tra le quali la possibilità che Gesù sia sopravvissuto alla crocifissione e abbia viaggiato fino in Kashmir con la madre o con la moglie, sono molto antiche, ma negli ultimi cento anni hanno cominciato a destare sempre più interesse.
Della tomba di Roza Bal si hanno testimonianze dal 112 d.C., prima dell’avvento dell’Islam, ma sia i musulmani che i cristiani sono concordi nell’affermare che tutta questa storia è blasfema: per entrambe le religioni Gesù Cristo è stato assunto in cielo da Dio, e alcune sette credono in una sua seconda venuta.
Il guardiano del piccolo santuario che sorge a Srinagar dichiara con fermezza che entrambe le sepolture sono musulmane, ma i sostenitori della tesi che nel tempio di Roza Bal ci sia la tomba di Cristo portano diversi argomenti a favore delle loro teorie: tra loro c’è Suzanne Olsson, ricercatrice che vive a New York, autrice di “Jesus in India, the lost tomb”. La Olsson dice di essere la 59esima discendente di Cristo e ha un progetto dal nome ambizioso: “il Dna di Dio”, che vuole studiare sette siti sepolcrali tra Pakistan, Kashmir e Tibet, sperando che l’esame del Dna a Rosa Bal produca la prova conclusiva della sua discendenza. Sostiene anche che in quello che è oggi il Pakistan, dove sarebbe passata durante il suo viaggio, si trovi la tomba di Maria, in un sito noto col nome di Murree.

I libri sull’argomento. Sull’argomento, oltre a quello della Olsson, sono stati scritti diversi libri fin dal secolo scorso: un avvocato francese per primo propose l’idea che Gesù avesse passato del tempo in India in un libro del 1869, The Bible in India. C’è poi un autore russo, Nicolas Notovich, che scrisse nel 1890 The Unknown life of Jesus Christ. Più di recente troviamo una serie di libri pubblicati da una setta indiana, la setta di Ahmadiyya, e un giornalista locale, Aziz Kashmiri, è coautore nel 1973 di un altro libro sull’argomento con il professor Fida Hassnain, ex direttore della sezione archeologica dei musei in Jammu e Kashmir. Oltre a libri di inchiesta e saggi, troviamo anche romanzi ben documentati, come il thriller The Rozabal line, di Ashwin Sanghi, del 2007.

Le tesi. Le principali tesi, riportate nelle diverse pubblicazioni che vogliono provare la presenza di Cristo a Roza Bal, partono dalla considerazione dei cosiddetti anni mancanti nella vita di Gesù, quelli tra i 12 e i 30 anni, di cui non c’è traccia del Nuovo Testamento. L’autore russo dell’ottocento, Notovich, parla di alcuni rotoli buddisti ritrovati in un monastero nella regione di Ladakh, dove si narra della presenza di Gesù in India proprio in quegli anni, impegnato nello studio del buddismo. Il giornalista Kashmiri poi, insieme al prof. Hassnain, espone la tesi che Gesù sia morto in India alla veneranda età di 120 anni. Un legame storico legherebbe Gesù e l’area geografica del Kashmir: l’origine dei Kashmiri e dei Pashtun afghani risalirebbe alle dieci tribù perdute di Israele, i popoli stabilitisi in nuovi Paesi dopo essere andati via da Israele nel periodo babilonese, nel 720 circa a.C., è per questo motivo che Gesù sarebbe tornato tra la sua gente.
La Olsson fa notare invece che il sarcofago a Roza Bal è posizionato da est verso ovest, come vuole la tradizione giudaica, al contrario di quella musulmana, che segue la direttrice nord-sud, ed è poi stato coperto da una pietra direzionata da nord a sud per conferire al luogo, secondo la sua spiegazione, un’identità musulmana. Inoltre i piedi di Yuz Asaf, scolpiti sulla pietra, mostrano i segni di ferite del tutto simili a quelle inferte da un chiodo che li attraversa quando sono uno sopra all’altro durante la crocifissione, e in Asia non c’è nessuna tradizione o traccia storica di crocifissioni. Altre sepolture poi, oltre a quella di Murree, testimonierebbero i legami tra il Kashmir e la tradizione giudaica: la tomba di Mosè e quella del fratello Aronne che si troverebbero a Bandipora e Harwan, sempre in linea est-ovest.

Una cosa è certa, se tutte queste tesi possono dimostrare che il sepolcro di Roza Bal sia di matrice giudaica, ben altra cosa è provare che si tratti della tomba di Gesù il nazareno. Tuttavia il principale problema per Suzanne Olsson e il suo progetto è un’altro: l’idea di fare il test del Dna è visto come una profanazione del santuario da parte della popolazione di Srinagar. Le cose vanno meglio in Pakistan dove si trova la tomba di Maria, e il governo ha già dato il suo appoggio al progetto, anche mettendo a disposizione tecnologie militari per eseguire i rilievi. In Kashmir è però difficile che le cose vadano allo stesso modo, visto che un simile pronunciamento da parte del governo scatenerebbe accese proteste da parte di chi ha già definito folle la ricercatrice americana, e il santuario ad aprile è stato chiuso a seguito di un tentativo della Olsson di introdurvisi ed effettuare il test.
Dopo vent’anni di guerra indipendentista, lo stato di Jammu e Kashmir sta vivendo un periodo di relativa tranquillità, e il governo indiano non vuole turbare la fragile calma che si è venuta a creare autorizzando iniziative che possano far riesplodere la violenza religiosa.

Alessandro Micci
fonte: http://it.peacereporter.net

Israele ha attaccato la Freedonm Flottilla. Ci sono morti e feriti, ma le cifre sono ancora poco chiare

Israele ha attaccato la Freedonm Flottilla. Ci sono morti e feriti, ma le cifre sono ancora poco chiare

L'attacco è avvenuto in acque internazionali, contro la nave turca Mavi Marmara. Secondo una televisione privataisraeliana i morti sono quindici , trenta i feriti, di cui uno grave. Ma il numero delle vittime è ancora poco chiaro. Il governo e l'esercito di Tel Aviv non commentano. Media turchi hanno diffuso un sonoro in cui si sentono i colpi di pistola e immagini in cui si vedono almeno una trentina di feriti a bordo di una delle navi della flottiglia.

Le navi vengono dirottate verso il porto di Haifa.


La flottiglia era composta da numerose navi che intendevano portare 10.000 tonnellate di aiuti umanitari a Gaza, dove sarebbero dovute arrivare in giornata. Nella notte, l'attacco.

La radio israeliana ha riferito che ad Ankara il governo turco è stato convocato in seduta di emergenza e che l'ambasciatore di Israele è stato convocato al ministero degli esteri per una protesta.

Secondo l'emittente Ntv il ministro degli esteridi Ankara avrebbe trasferito all'ambasciatore israeliano la vibrante protesta del governo urco e avrebbe definito come 'inaccettabile' l'attacco di questa mattina.

Alcune navi della flottiglia battono bandiera turca e una ONG turca sarebbe uno dei principali organizzatori dell'intera operazione di invio di una flottiglia di aiuti a Gaza sotto assedio. Israele, che nega che a Gaza sia in atto una crisi umanitaria, aveva ripetutamente avvertito che avrebbe impedito alla flottiglia di arrivare a Gaza ma si era offerto di far pervenire a destinazione gli aiuti, dopo ispezione, tramite un valico terrestre. Le agenzie internazionali battono una prima reazone di un ministro israeliano. "Le immagini non sono certo piacevoli. Posso solo esprimere rammarico per tutte le vittime", ha detto il ministro israeliano per il Commercio e l'Industria, Binyamin Ben-Eliezer, alla radio dell'esercito.

fonte: http://it.peacereporter.net

domenica 30 maggio 2010

INGANNO E DEPRESSIONE INDOTTA - le menzogne del potere










DI MARCO DELLA LUNA
nuke.lia-online.org

La crisi è alle spalle - Non ci saranno nuovi sacrifici - Qualcuno ha pagato il mio appartamento a mia insaputa - Al salaria soprt village mi curavano l'ernia del disco.

Hanno mentito e mentono ancora. Hanno Mentito quando dichiararono che l’Euro avrebbe protetto il potere d’acquisto, e all’opposto lo ridusse del 40%. Era così sicuro e conveniente – dicevano – che non solo era superflua una consultazione popolare, ma anzi la gente doveva assolutamente pagare tasse aggiuntive per meritare il privilegio di entrare nell’Euro, nella Moneta Unica.

Mentirono sulla quantità di tasse da pagare per entrare nell’Euro: prima erano 5.000 miliardi di Lire, poi 10.000, poi 20.000. A un certo punto ci dissero che finalmente eravamo nell’Euro, nella Moneta Unica. Ma anche qui mentivano., e ora ce ne stiamo accorgendo: l’Euro non è una moneta unica. E’ una cosa molto diversa: è un insieme di parità fisse di cambio tra le varie monete partecipanti. E’ come il vecchio Sistema Monetario Europeo, saltato nei primi anni ’90, solo che ha introdotto banconote e spiccioli comuni, per corroborare l’illusione che sia una moneta unica.

Non è una moneta unica perché l’Euro viene prodotto dalla BCE e “venduto” ai singoli paesi contro titoli del debito pubblico dei singoli paesi. Ogni paese emette e vende i suoi propri titoli. Ogni paese, ogni debito pubblico, ha il suo rating e paga il suo tasso di interesse: più i suoi conti sono affidabili, meno paga. E le differenze possono essere elevate. Inoltre, le agenzie di rating possono giocare, e hanno giocato, a dividere l’Eurozona ribassando artatamente il rating di questo o quel paese finanziariamente in difficoltà. Si può arrivare a una situazione in cui la BCE dichiari che i titoli di un dato paese dell’Eurozona non siano più utilizzabili per acquistare Euro.

Affinché più paesi facciano una moneta unica, comune, è necessario che emettano titoli del debito pubblico comuni, ossia che unifichino i loro rispettivi debiti pubblici. Che paghino un unico tasso di interesse. Il che ovviamente non è avvenuto e non può avvenire: Germania e Francia non unificheranno mai i loro debiti pubblici con quelli di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia.

Quello che è avvenuto e che era prevedibile e inevitabile, e da alcuni è stato voluto, è che costringere sistemi economici poco efficienti a servirsi della medesima moneta dei sistemi economici più efficienti con cui avevano rapporti di concorrenza e/o di scambio commerciale, ha causato il declino e lo smantellamento dei sistemi economici inefficienti: Grecia, Meridione, Portogallo… Tanto più che, al contempo, arrivava l’attacco competitivo nei nuovi paesi comunitari est-europei nonché della Cina, dell’India, del Pakistan, del Marocco… Tra aree economiche aventi livelli di efficienza e di indebitamento molto distanti tra loro, non ci può essere una moneta comune. Ma non può nemmeno sopravvivere una parità comune, senza ammazzare le aree deboli. A meno che queste non prendano il potere politico sull’Unione e non sfruttino colonialmente quelle forti. Quindi l’Euro salterà, in un modo o nell’altro.

Intanto i banchieri portano avanti la loro politica e i loro affari. Ricordate quando le banche, la BCE, erogavano prestiti facili e a minimi tassi? E poi, quando famiglie e imprese si furono indebitate, strinsero i cordoni con Basilea I e Basilea II, mandando a rotoli l’economia? Causando una marea di insolvenze? E, quando i costi maggiori finanziari prodotti da questa stretta creditizia, cioè monetaria, e le insolvente, pure da essa prodotte, si tradussero in un generale rincaro dei prezzi, gridarono all’inflazione monetaria, e strinsero ancora di più i cordoni della liquidità, e alzarono ripetutamente i tassi, fino a ottenere il crollo dei mercati finanziari e dell’economia reale nel 2008? Vi ricordate che, allora, diciamo a fine luglio, dall’oggi al domani,contraddicendosi spudoratamente, “scoprirono” che c’era un drammatico bisogno di liquidità, e buttarono i tassi a zero? E usarono i governi per far rifinanziare banche e simili coi denari pubblici, cioè con pubblico indebitamento, togliendo i soldi all’economia reale e ai redditi e alla spesa pubblica? E avete notato come, con quei rifinanziamenti, le banche hanno imbastito tra loro un frenetico scambio di titoli finanziari per far risalire artificiosamente i mercati, inducendo risparmiatori fondi previdenziali e di investimento a metterci i loro soldi per rifarsi delle perdite del 2007-2008? E come hanno riportato i bonus dei loro CEO a livelli superiori al crollo delle borse?

Adesso la cosa si ripete: nuovo sacco dei redditi e dei risparmi per trasferire ricchezza al sistema bancario, anziché far pagare le banche autrici e beneficiarie di truffe e speculazioni distruttive.

L’inflazione rialza la testa e la BCE assicura che non tollererà che ciò avvenga. Ossia preannuncia e pregiustifica rialzi dei tassi. Ma sa benissimo che, oggi come prima del 2008, non c’è alcuna inflazione monetaria, proprio perché, al contrario di quanto assume (in ovvia mala fede) la BCE, l’economia reale sta morendo di scarsità di denaro disponibile. Quella falsamente presentata come inflazione da eccesso di moneta, in realtà è l’aumento dei costi finanziari (e conseguentemente dei prezzi di beni e servizi) dovuto appunto alla stretta creditizia di Basilea I, II e III , alla pratica sistematica dell’usura da parte delle banche di credito col tacito consenso delle banche centrali, all’aumento dei costi unitari industriali dovuto a diseconomie di scala (a loro volta dovute alla minor produzione e alla concorrenza cinese). Ma anche al fatto che banchieri e governanti hanno dirottato le risorse monetarie dai consumi, dai redditi, dagli investimenti al sostegno delle banche e della speculazione finanziaria, demonetizzando l’economia produttiva a favore di quella speculativa, e diffondendo insolvenze, fallimenti, licenziamenti.

Ora, con le manovre di aggiustamento dei conti, con nuove tasse, con ulteriori tagli dei redditi e della spesa pubblica, e insieme col rialzo dei tassi, è chiaro che puntano deliberatamente a produrre una depressione economica di prim’ordine e di lunga durata (una manovra che io interpreto, nel mio recente Oligarchia per Popoli Superflui, come finalizzata a salvare la Terra dall’inquinamento industriale e civile, dall’esaurimento delle materie prime, dalla sovrappopolazione). Ci sono precedenti: come provato dal prof. Richard Werner nei suoi saggi The Pricnes of the Yen e New Paradigm in Macroeconomics, una cosa analoga il sistema bancario internazionale ha già fatto nel 1991 al Giappone, per tagliare le gambe alla sua economia mediante una brusca ed economicamente ingiustificabile stretta monetaria, che bloccò l’espansione industriale e commerciale di quel paese, e ancora oggi lo mantiene nella stagnazione. E così facendo consentì l’ascesa dell’astro cinese, designato a comperare l’incessante emissione di t-bonds degli USA – USA che erano all’inizio di una lunga e costosissima serie di campagne belliche.

Quale che sia il fine reale della manovra bancaria per mandare l’Occidente in depressione economica, la realtà di tale manovra è tangibile, comprovata. E i politici, i governi, i parlamenti assecondano tale disegno depressivo. Se si volessero realmente opporre, i governi potrebbero facilmente farlo con operazioni sotto copertura nei confronti della grande finanza e delle sue agenzie di rating, analoghe a quelle che conducono nei confronti del terrorismo non finanziario.

In Italia e in altri paesi ci stupiamo che la classe dirigente (politici, grand commis), rubano, o mangiano, o arraffino, in modo non accidentale, non isolato, ma sistemico. Ma che altro potrebbe fare, se non questo, una classe dirigente che, nel sistema effettivo dei poteri, è sottoposta al potere finanziario, che è il braccio esecutivo e la maschera sporca di questi interessi, e che in questo ruolo saccheggia e boicotta i popoli che sulla carta dovrebbe rappresentare e amministrare? E’ inevitabile che arraffi in proprio, oltre a saccheggiare per essi. In Italia, con la tangentopoli bis, stanno sviando l’opinione pubblica dal male grande al male piccolo ma più accettabile all’opinione pubblica, che quindi viene condizionata a vedere il problema come di una classe dirigente diffusamente corrotta: un problema da risolvere con indagini e sanzioni e più richiami a valori etici.

I popoli, le masse, non sono, proprio perché numerosi, in grado di imparare, di capire, di evitare. Agiscono secondo emozioni, abitudini, imitazione. Altrimenti non sarebbero caduti nella trappola dei prestiti facili né in quella della crisi alle spalle. E non sono nemmeno in grado di coordinarsi, altrimenti avremmo già avuto una rivoluzione violenta negli USA come in Grecia, in Italia etc., contro questi parlamenti e questi governi che depredano le loro popolazioni su mandato dei banchieri, mentendo e ingannando sistematicamente in materia economica. Ma queste rivoluzioni sarebbero del tutto inutili, perché non vi è alternativa, nei nostri tempi, al governare i popoli attraverso lo strumento monetario e bancario, e agli strumenti più specificamente manipolatori. Quindi, se non scoppia la rivoluzione, non perdiamo nulla, tranne il sanguinoso spettacolo del popolo che sfoga la sua indignazione sulle piazze, facendo in pezzi ministri, onorevoli e senatori, boiardi di Stato e tutti gli altri da cui crede di essere stata ridotta in miseria.

Marco Della Luna
Fonte: http://nuke.lia-online.org/
17.05.2010
letto su: www.comedonchisciotte.org

11 settembre : La CIA ammette di aver falsificato un video di bin Laden


A volte la vita propone delle combinazioni davvero incredibili. Pensate: mentre tutti quelli che non credono alla versione ufficiale dell’11 settembre sono convinti che il “personaggio” di Osama bin Laden sia stato creato a tavolino dalla CIA, la stessa CIA ha ammesso di aver falsificato un video di Osama bin Laden.

La notizia passa, quasi inosservata, fra le righe di un recente articolo del Washington Post, che riporta le rivelazioni di due ex-agenti della CIA sui retroscena delle invasioni di Iraq e Afghanistan.

Durante la pianificazione dell’invasione del 2003 in Iraq – dice l’articolo - il gruppo operativo della CIA in Iraq ha lanciato un certo numero di idee per gettare discredito su Saddam Hussein agli occhi del suo popolo. Un’idea era quella di creare un video nel quale il dittatore intratteneva rapporti sessuali con un ragazzino, secondo uno dei due ex-agenti della CIA che erano a conoscenza di questo progetto. Doveva sembrare che fosse stato ripreso da una telecamera nascosta, molto sgranato, come se fosse la registrazione segreta di un incontro erotico. L’idea era quella di inondare l’Iraq con questi video, secondo l’ex-agente. Un’altra idea era quella di interrompere le trasmissioni televisive irachene con un finto notiziario speciale. Un attore che impersonava Hussein avrebbe annunciato che abdicava in favore del (particolarmente odiato) figlio Uday. “Sono certo che darete tutto il vostro supporto a Sua Eccellenza Uday”, avrebbe dichiarato il finto Hussein. Di fatto l’agenzia ha realizzato un video che mostrava Osama bin Laden e i suoi compari seduti attorno ad un fuoco, che ingollavano bottiglie di alcolici mentre si vantavano delle loro conquiste omosessuali. “Gli attori - ha detto uno degli ex-agenti, sogghignando al ricordo - erano stati presi fra quelli di noi che hanno la pelle più scura degli altri.”

Di certo noi sappiamo che questo tipo di idee non sia affatto nuovo nei corridoi della CIA. Anzi, si tratta di idee talmente obsolete e stantie ...

... da aver circolato per quei corridoi – evidentemente senza troppo successo – da oltre 50 anni. Ad esempio, uno dei progetti per rovesciare Fidel Castro, che risale al 1960, proponeva di devirilizzare progressivamente la persona del dittatore, introducendo nel suo cibo ormoni femminili, che gli avrebbero fatto cadere la barba, dandogli una voce sempre più acuta.

Viene da sorridere all’idea che questi signori pensino di attribuire gli stessi “connotati negativi” a qualunque nemico nel mondo, senza tenere minimamente conto della sua collocazione geografica e della cultura in cui vive: mentre si può supporre che un Fidel Castro effeminato potesse perdere molto del suo appeal, nel mondo “macho” dell’America Latina, un Saddam Hussein o un bin Laden che se la spassano con i ragazzini non avrebbero sollevato nemmeno un sopracciglio fra gli afghani o gli iracheni.

Ma la cosa più curiosa – al di là del contenuto - è che gli uomini di Langley abbiano realizzato un falso video di Osama bin Laden, quando mezzo mondo sospetta già da tempo che i video di bin Laden siano proprio dei falsi prodotti dalla CIA. La quale naturalmente è così fortunata da riuscire spesso anche a trovarli da sola. (E’ l’applicazione letterale del concetto di “home-movie”: te la scrivi e te la canti, tutto da solo). L’esempio più clamoroso fu quello del cosiddetto video “della barba parlante”, trovato casualmente dalla CIA in un covo di Talebani abbandonato, che sarebbe poi servito come capo d’accusa principale contro lo sceicco ribelle per gli attentati dell’11 settembre.

Certo che fare gli attentati e dimenticarsi di preparare la rivendicazione è proprio da minorati mentali. Da noi almeno i “volantini delle BR” erano già pronti nel cestino della spazzatura al momento degli attentati, non vi comparivano tre mesi dopo, trovati “casualmente” dagli stessi agenti della Digos.

Chissà nel frattempo come se la spassa quel poveraccio, nell’aldilà, vedendo questo continuo scempio fatto alla sua persona, da parte di una banda di microcefali il cui unico vantaggio è di rivolgersi ad un pubblico la cui visione è ancora più ristretta della loro.

Come è noto, nel paese dei ciechi chi è orbo è re.

Massimo Mazzucco
fonte: www.luogocomune.net

Mistero Rotondi: ma cosa ha fatto in questi anni?

29 maggio 2010

Nel 2009 il suo ministero ha prodotto un documento, lui ha girato mezza Italia.

“Ero con Berlusconi quando perdeva, sono con lui ora che ha vinto. Sperando che se ne accorga”. Gongolò Rotondi a Telelombardia, il 3 aprile 2008, con l’occhio languido. E Berlusconi se ne accorse, eccome. “E ora a questo cosa gli do?”, deve aver pensato. Poi si ricordò di un ministero formato mignon e dalla dubbia utilità: il ministero per l’Attuazione del Programma. Fu così che un mese dopo Gianfranco Rotondi, fondatore dell’ennesimo duplicato della Dc, la Dc per l’Autonomie, confluita nel Pdl, divenne ministro, almeno senza portafoglio (ossia senza budget autonomo). Comunque Rotondi un bel salvadanaio se l’era portato da casa: dentro ci sono due stipendi, quello da onorevole (10.000 euro lordi al mese, esclusi diaria e benefits) più quello, ridotto per via del doppio incarico, da ministro (5.000 euro).

Prima che venisse creato, di un ministero dell’Attuazione del Programma il Paese non ne sentiva affatto il bisogno. E ancora adesso si chiede se per attuare un programma non sia sufficiente l’intera compagine di governo. Lo aveva inventato nel 2001 Berlusconi, ed è stato mantenuto anche dal governo Prodi. Un ministero con appena 15 dipendenti, dalla funzione occulta. Sarà pure piccolo e salva poltrone, ma solo nel 2008 ha pesato sul bilancio dello Stato per 8 milioni di euro. Per il 2009 l’unico atto pubblico prodotto è un documento. É la sintesi dell’azione di governo: a sinistra il programma, a destra i provvedimenti presi. Un semplice report, senza nessuna azione di vigilanza. E al premier piace tanto. Come abbia impiegato il ministro quest’anno e mezzo di lavoro, rimane un mistero. Una cosa di sicuro l’ha fatta: un piccolo tour per l’Italia. Perché piuttosto che vigilare sull’azione di governo, meglio promuoverla.

A pochi mesi dall’insediamento, ha il colpo di genio: inventa Governincontra. Al grido di: “Al rogo le inutili brochure”, lancia una campagna di incontri con i cittadini, comune per comune, per raccontare le prodezze del governo. “É una grande operazione di comunicazione che rovescia quella tradizionale – declama il 27 luglio del 2008 – Toccheremo cento città. É una rivoluzione”. Una roba fantasmagorica. Dopo un anno e mezzo gli incontri, invece di 100, sono stati 11, tutti piuttosto tiepidi quanto a partecipazione cittadina. Tranne l’ultimo, quello del 15 dicembre, a Salerno, dove Rotondi ha rischiato di essere linciato da un gruppo di precari della scuola inferociti. Una bella occasione comunque per fare propaganda (governativa?): le cinque città incontrate dall’inizio di gennaio a maggio 2009, erano, guarda caso, tutte in odore di elezioni amministrative ed europee (6-7 giugno). Per questa sua attività febbrile, oltre ad avvalersi dei 15 funzionari, 10 interni alla Presidenza del Consiglio e 5 di nomina diretta, e di un Comitato di quattro membri presieduto dall’inossidabile Paolo Cirino Pomicino, per il 2009 ha assoldato 20 consulenti esterni per una spesa totale di 210.000 euro (più di quanto speso nel 2008 per consulenze dal ministero dell’Università e della Ricerca, dicastero ben più complesso e attivo). Oltre al suo ufficio stampa, Rotondi ha voluto con sé quattro esperti in comunicazione.

Rotondi si erge a paladino dell’anticasta: “Non uso l’autoblu”, dice. Vero: da casa al lavoro, poche centinaia di metri, va a piedi. E si dice pronto, per dare l’esempio in tempi di manovre lacrime e sangue, a rinunciare a ben tre onorate mensilità. Alcuni suoi collaboratori, assicura, lavorano gratis. Sarà. Lui, comunque, ai suoi due stipendi non rinuncia. Al ministero dicono di non avvistarlo spessissimo: tre quattro volte a settimana, mattina (dalle dieci all’una) o pomeriggio. Il resto della giornata lo intravedi al Parlamento. Se hai fortuna: ha partecipato al 13% delle votazioni, al 75% delle missioni, e per il resto non pervenuto. E così quando Il fatto gli fa notare che nell’ultimo mese a Roma non c’è mai stato, per assistere ad Avellino la zia Maria sul punto di morte, lui si infiamma così tanto con “la cronista ostile” (del Fatto), che risponde su Il Giornale con un teorema politico illuminante: l’importanza, incompresa dalla sinistra, di avere una zia Maria che “sarà una pietra miliare della divisione antropologica della politica italiana”. Eppure – basta scorrere le agenzie – Rotondi nell’ultimo mese, forse anche al capezzale della zia, non ha mai smesso di parlare.

Dichiarazioni su dichiarazioni: sulla manovra economica, sul federalismo, parole di stima per Bondi. É evidente che, il tempo per parlare ai giornalisti, il ministro lo ha trovato. Paradosso dei paradossi, poi, proprio lui che dovrebbe rendere popolare il governo è tra i meno popolari di tutti. In un sondaggio tra i cittadini sul consenso dei ministri, risulta agli ultimi posti. Peccato, perché è il preferito di Berlusconi, che apprezza in lui l’innata dote di barzellettiere. Il premier stesso avrebbe rivelato che quando è di cattivo umore, chiama Rotondi. “Dai, Franchino, spara una delle tue”. E giù a ridere. Per l’effetto battuta è conosciuto anche dal grande pubblico. Una delle più sorprendenti dichiarazioni rimane quella sulla pausa pranzo: “Un danno per il lavoro”. Tanto che gli hanno dedicato perfino due gruppi su Facebook: “Togliere la pausa pranzo? Si vede che non ha mai lavorato” e “Il Comitato per l’abrogazione del politico più nerd”.

da Il Fatto Quotidiano del 29 maggio 2010
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

sabato 29 maggio 2010

Berlu-mussolinismo di Luca Telese


29 maggio 2010
di Luca Telese

Fenomenologia di una pericolosa fascinazione tra il premier e il dittatore. Lunga 15 anni

Cosa bisogna pensare del berlu-mussolinismo? L’associazione tra le due parole – purtroppo per Silvio Berlusconi – non è il frutto di qualche oppositore esasperato, ma di un lavoro di evocazione (e di associazione), che lo stesso premier, ad intervalli regolari, ha provveduto a cementare (e forse persino a incentivare) nell’immaginario collettivo.

L’ultima perla. Ieri, ovviamente, la notizia ha fatto il giro del mondo. Berlusconi, che cita i Diari di Mussolini e si paragona al dittatore impotente, Silvio come Benito, vittima dei suoi stessi uomini: “Sostengono che ho potere, non è vero. Forse ce l’hanno i gerarchi, ma non lo so. Io so solo che posso ordinare al cavallo vai a destra o vai a sinistra, e di questo - spiegava il premier - posso essere contento”. E che dire del racconto compiaciuto di Marcello Dell’Utri a Radio24? Peggio di una rivendicazione in una cabina telefonica: “Sì, è vero, gli ho dato io quei diari: gli ho fatto una fotocopia”. Un dubbio: cosa sarebbe successo in Germania se Angela Merkel avesse citato Adolf Hitler? Visto che è tecnicamente impossibile (la Merkel è una statista seria) non è dato di saperlo. Ma esiste, invece, una ormai vasta letteratura di citazioni berlu-mussoliniane, che pone un interrogativo sull’uso fatto dal premier, nel corso degli anni, dell’”altro” italiano più ingombrante della nostra storia. E’ una operazione politico-ideologica (ovvero, sottrazione dell’elettorato nostalgico all’odiato Dino Grandi-Gianfranco Fini?). Una operazione di marketing per conto dell’amico Marcello (vendere i diritti dei diari-patacca)? Oppure di una operazione imprenditoriale in proprio? (pubblicare il malloppo per la Mondadori, dopo averlo pubblicizzato in tutto il mondo)? Conoscendo l’uomo tutto è possibile. Forse, però, la spiegazione vera è un’altra.

Natali anti-fascisti. Intanto occorre ripercorrere la storia di questa fascinazione. La cosa curiosa è che gli esordi di Berlusconi, nella sua autonarrazione, sono “anti-fascisti”. Certo, un antifascismo anomalo, tutto lombardo, un po’ alla Mike Bongiorno (che fu in carcere al fianco del generale Della Rovere, immortalato persino nel capolavoro di Indro Montanelli). Berlusconi ha raccontato più volte questo retroterra familiare: “Mio padre fu manganellato dai fascisti. Lo colpirono i reumatismi quando dormiva sotto i ponti ai Navigli...”. Ricostruzione ex post? Lessico famigliare rispolverato ad hoc per tacitare le polemiche?

Anniversario disertato. Un dato certo: fino al 2009 Silvio Berlusconi non ha mai celebrato il 25 Aprile. Forse memore del fatto che la più grande manifestazione antiberlusconiana fu organizzata nel 1994 (in occasione dell’anniversario della Liberazione) da Il manifesto. Per Berlusconi, soprattutto nei primi anni della “discesa in campo”, l’antifascismo era un tema scivoloso. Ancora nel 1995 Umberto Bossi urlava: “Mai, mai mai, al potere con Berluscàz e la porcilaia fascista!”.

Un the con papà Cervi. Rimase negli annali il siparietto a Porta a Porta, quando nel 2000 Berlusconi fece una gaffe fantastica rispondendo a un incredulo Fausto Bertinotti: “Sarò felicissimo di conoscere papà Cervi a cui va tutta la mia ammirazione…”.E Bertinotti, sommessamente: “...Papà Cervi purtroppo è morto… non lo può conoscere più…”. Macchè, Berlusconi insisteva imperterrito: “E quindi, se lei manterrà l’invito, sarò felicissimo di venire con lei a rendere omaggio a questa nobilissima figura che ha sofferto…”. Bertinotti: “Onorevole Berlusconi! Papa Cervi è morto! È morto da molto tempo…”.

Sdoganamenti progressivi. Visto che con l’antifascismo andava malino, Berlusconi iniziò lo sdoganamento graduale del ventennio e del suo protagonista. “Mussolini - disse nel 1996 - è stato un protagonista di vent' anni di storia nel bene e soprattutto nel male. Prodi è casomai una comparsa, non si può nemmeno lontanamente immaginare un paragone tra i due uomini”. Anche se per contrario, era un primo pubblico tributo. Ma il vero sdoganamento fu quello dell’intervista allo Spetctator del 2003: “Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino”. Memorabile (e non ritrattabile). Era iniziata la concorrenza con An sul suo terreno. Quindi arrivò lo sdoganamento sarcastico, ma a ben vedere - per la prima volta - autocomparativo: “Mussolini aveva i nuclei delle camicie nere: io, secondo i giornali che sono i sottotappeti della sinistra nostra all’estero, avrei i nuclei delle veline. Grazie a Dio, mi sembra un po’ meglio...”. Nel settembre del 2008, il premier si presentò alla festa di Atreju, dai giovani di An, in camicia nera, a leggere brani sull’anticomunismo. Una risposta al passaggio di Fini (il giorno prima) all’antifascismo. Oggi, invece, l’elemento di fascinazione più grande è il clima da “24 luglio” (copyright di Giuliano Ferrara): il paragone con il fascismo tragico. A Berlusconi forse, piacerebbe riscrivere il finale di piazzale Loreto, spiegare agli italiani che l’unico “uomo al comando” della storia patria può essere lui. Vuoi vedere che i diari-patacca di Dell’Utri sono stati scritti ad Arcore?

Da il Fatto Quotidiano del 29 maggio

C'è la crisi ma il Senato veste firmato

29 maggio 2010
di Carlo Tecce
Cravatte, camicie, scarpe e collant da 1,2 milioni (per cinque anni)

La vera immunità parlamentare è il privilegio. Guai a toccare i soldi pubblici per i partiti, guai a sopprimere un appalto per abiti da gala. La sforbiciata sui rimborsi elettorali per le ultime politiche (2008), il famoso euro che diventa mezzo per italiano votante, più passano i giorni e più si fa indolore: “Forse il 10 per cento o forse il 5. Un fatto è certo: dobbiamo comprimere”, taglia (si fa per dire) corto Alberto Giorgetti, sottosegretario all’Economia. La casta che costa, a volte lascia la mancia e chiede lo sconto: scrive bandi stravaganti (agende, calze e tipografie) e prova a spezzare la manovra di Tremonti. I partiti hanno preparato la mensolina del frigo, siano di destra o di sinistra, per incassare una parte ciascuno della torta, un malloppo da 370 milioni di euro. Un paragone? Il 20 per cento in più delle risorse destinate alla messa in sicurezza degli edifici scolastici. Risparmiare 50 centesimi significa 185 milioni di euro, il 5 per cento è un graffietto: circa 18,5 milioni, un obolo per le segretarie. Sopportabile. E dunque sufficiente per dare un segnale ai cittadini. Un segnale luminoso, semmai.

Le esclusive docce con idromassaggio

L’ex ministro Mariapia Garavaglia (Pd) ha depositato un’interrogazione urgente al governo che sembra una battuta da cinepanettone, ma che svela l’ennesimo privilegio: “Risulta vero che, per il decoro di alcune sedi ministeriali, siano state spese notevoli cifre, finanche per l’istallazione di docce con idromassaggio?”. Ruotano due follie intorno al mistero delle docce, viste spuntare dai dipendenti, testimoni oculari e incavolati: sarà normale che i ministri sentano l’esigenza di un idromassaggio in ufficio, ispirati dal regolamento molto, molto comprensivo. “Quando mi sono insediata al ministero, varata una manovra da 5 miliardi per i farmaci - ricorda - per prima cosa mi hanno chiesto se volessi cambiare l’arredo”. La senatrice Garavaglia, assieme alle colleghe Armato e Pinotti, svela un retroscena nell’interrogazione: “Per prassi ogni sottosegretario, ministro, dirigente generale, arreda e struttura i propri uffici secondo criteri differenziati per livello di funzioni. Dovete intervenire!”.

Le Camere con parcheggio

Al consiglio di presidenza del Senato hanno problemi molto più seri da risolvere: deve archiviare anche due gare d’appalto im-pre-scin-di-bi-li. La più stravagante: “Fornitura di vestiario - per un periodo di cinque anni–per il personale della carriera ausiliaria”. La commessa è dettagliata: 470 uniformi, 1.685 camicie, 570 paia di scarpe, 4.455 paia di calze, 2.666 collant, 336 cravatte e 444 papillons. Mica roba da mercato, l’amministrazione si riserva la facoltà di ordinare “divise di gala” e stacca l’assegno di 1,2 milioni di euro. Il ministro Renato Brunetta vuole innovare, il Senato innova e qualcuno – la fortunata società che vincerà l’appalto di 10,44 milioni – dovrà stampare 60 milioni di pagine di documenti ufficiali per i prossimi tre anni. Facciamo due conti: 0,6 euro a pagina. Diranno: rilegata, timbrata e pure a colori. E se provi a fare domande al “servizio del provveditorato”, ti rispondono con trasparenza: “Telefonate al vice segretario generale di seconda fascia”. Un’entità sconosciuta ai centralini del Senato. E la Camera? Austerità: “Fa parte della maggioranza, ma non possiamo lamentarci del presidente Gianfanco Fini”, spiegano al Pd. Forse a lamentarsi saranno i non fumatori, per i 48 mila euro di manutenzione per le aree-ghetto. Le centinaia di migliaia di auto blu dovranno trovare un parcheggio? Ecco l’affitto di posti esclusivi per 1,6 milioni. Non sapremo come sarà la manovra, ma i deputati sapranno quando arriverà. Puntualissimi: a Montecitorio spendono 24 mila euro per far funzionare il “parco orologi”.

Da il Fatto Quotidiano del 29 maggio
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

venerdì 28 maggio 2010

Il tornante della storia



di Marco Cedolin

Ormai dagli anni 90 abbiamo iniziato ad entrare in confidenza con proclami che facendo leva sul sentimento di unità nazionale, imponevano sacrifici, duri ma necessari, tirate di cinghia dolorose ma non procastinabili, piccoli grandi "fioretti" da compiere necessariamente oggi, per stare meglio domani.

Prima si è trattato di un "castigo" volto a rifondere gli sperperi e la dissolutezza occorsi negli anni di tangentopoli. Poi di un tributo da pagare per la costruzione di una grande Europa che ci avrebbe consentito di giocare la parte del leone nell'economia stravolta dalla globalizzazione. Poi ancora di un investimento nel futuro, finalizzato alla creazione dell'euro, la moneta magica e definitiva in grado di farci vincere le sfide del nuovo millennio. Poi ancora di lacrime e sangue indispensabili per fare recuperare al nostro paese ed al suo sistema industriale la competitività perduta. Infine di quello che Giulio Tremonti molto pomposamente definisce un "tornante della storia" , necessario per salvare l'euro e la BCE, o se preferite per rispondere alle imperanti richieste dei mercati.

Il tornante della storia paventato da Tremonti altro non è che l'ultima puntata (o meglio il suo trailer) di una corsa del gambero ormai ventennale, nel corso della quale sempre più ampie risorse della collettività sono state alienate a favore del sistema finanziario e dell'economia di rapina ad esso correlata.

Creando progressivamente disoccupazione, riduzione del potere di acquisto di salari e pensioni, annientamento dei diritti, eliminazione di ogni prospettiva per le nuove generazioni.

Il tornante della storia attraverso il quale Tremonti, ligio alle direttive di Bruxelles più ancora che a quelle di partito dove serpeggia il terrore per la perdita dei consensi, tenterà di recuperare 24 miliardi di euro, ben sapendo che alla fine i miliardi dovranno essere almeno una sessantina, non spaventa per le misure contemplate nella manovra. Misure in larga parte confusionarie, raffazzonate, prive di qualsiasi visione in prospettiva e del tutto inadeguate ad ottenere i risultati prospettati.

E neppure spaventa per il fatto che la manovra, pur nascondendosi dietro una facciata populista che declama tagli agli emolumenti della classe politica e dei grandi manager, colpisca come sempre i soliti noti, aumentando di fatto la pressione fiscale e riducendo le prospettive occupazionali ed il potere di acquisto delle famiglie.

Il tornante della storia spaventa, poiché l’ennesima “mazzata” (di cui la manovra rappresenta solo una prima tranche) andrà a colpire un paese già in stato di profonda catatonia, assai lontano da quell’Italia in ripresa che non più tardi di un anno fa veniva “raccontata” sui giornali e in TV.
Un paese dove, a dispetto delle ridicole cifre fornite dall’Istat, un cittadino su due in età lavorativa non ha un lavoro degno di questo nome. Dove l’elenco delle imprese che chiudono i battenti ogni mese (gran parte delle quali per delocalizzare all’estero la produzione) somiglia per dimensioni a quello del telefono. Dove larga parte delle imprese che ancora restano in piedi o resistono alle sirene della delocalizzazione riescono a sopravvivere solo grazie al sussidio della cassa integrazione.
Dove milioni di giovani senza lavoro saranno costretti a vivere in famiglia a tempo indefinito, sperando che lo stipendio o la cassa integrazione dei genitori possano durare a lungo. Dove il piccolo commercio è stato da tempo annientato dalla grande distribuzione che adesso sta andando all’assalto degli ambulanti.

Dove la piccola impresa, strangolata dai mercati e dalle banche, è una categoria in via d’estinzione. Dove l’ammontare dei pignoramenti per insolvenza non viene reso noto, perché basterebbe esso solo a fiaccare ogni rigurgito di ottimismo.

Dietro al tornante non troveremo ad accoglierci altro che il precipizio e forse costituirebbe esercizio di eccessiva ingenuità sperare di riuscire a frenare in tempo, recuperando una qualche forma di sovranità monetaria, fermando l’emorragia della delocalizzazione, tentando di costruire prospettive occupazionali in nuovi settori magari legati alla riconversione industriale, trasferendo alle famiglie una parte della ricchezza indebitamente incamerata dai grandi poteri finanziari. Ma si tratterebbe comunque di un tentativo fondato sulla logica e con qualche prospettiva di successo.

Nella corsa del gambero prospettata da Tremonti non si manifesta alcuna volontà di frenare, via a tutta forza verso il burrone, entreremo probabilmente nella storia, ma come sempre dalla porta sbagliata.

Marco Cedolin

http://ilcorrosivo.blogspot.com/
http://marcocedolin.blogspot.com/
letto su: www.luogocomune.net

CINEMA: “THE ROAD” E “2012”


Restoring Mayberry

Holywood ha un enorme potere sulla percezione del mondo da parte del pubblico – Ghandi è uno dei miei eroi, ma quando me lo immagino mi viene in mente Ben Kingsley. Noi invece vogliamo che il pubblico rifletta e sia preparato ad un futuro difficile. Quindi dovremmo prestare attenzione alle produzioni Holywoodiane che parlano di come potrebbe essere il domani.

Sfortunatamente l’immagine che Hollywood ci dà dell’avvenire è di solito abbastanza triste: quasi tutti i negozi di film hanno una sezione che si chiama “horror-science fiction”, a dimostrare che il futuro che mostrano è abbastanza spaventoso. Solo negli ultimi anni sono state girate pellicole come The Book of Eli, The Road, 2012, I Am Legend, Children of Men, 28 Weeks Later, Resident Evil, Terminator, film e serie televisive, e anche Wall-E, il primo film per bambini di ambientazione post-apocalittica.

Nessuna di queste produzioni è particolarmente realistica, comunque alcune sono buone storie (Wall-E), altre no (Resident Evil). Lo scorso inverno, con The Road e 2012, abbiamo avuto un esempio di entrambe.


The Road riesce ad essere sia un ottimo film che un rispettabile adattamento di un libro quasi impossibile da trasporre al cinema. Sfortunatamente sembra che il trailer abbia tratto in inganno molte persone, che sono andate al cinema con aspettative sbagliate.

Il trailer inizia con un montaggio sgranato composto di spezzoni di immagini d’archivio di catastrofi varie –fulmini, uragani, tornado, vulcani, foreste in fiamme, file di poliziotti che corrono verso un incidente. Come molte anteprime che vengono proposte in questi giorni, semplicemente mette insieme un po’ di cose a caso dichiarando che si troveranno nel film; nessuna di queste catastrofi naturali appare nel film, essendo apparentemente messe lì per sfruttare la scia del successo del blockbuster 2012.

Ancora peggio, riguardo l’ambientazione temporale del film, in uno di questi trailer si dice con titoli in bianco e nero e con lo sfondo di un tonfo in surround, “FRA 10 ANNI”. Gli eventi del libro e del film si svolgono diversi anni dopo la Fine Del Mondo, ma è più uno scenario astratto che una profezia in stile Nostradamus. E’ più un difetto degli studios che di chi ha realizzato il film, ma sminuisce l’impatto del film ed arriva in un momento in cui non abbiamo bisogno di fantasie più oscure.


Il film ci parla di un futuro terribile senza spingersi nei territori del fantastico. Tutto ciò che non è umano è estinto –è implicito un inverno nucleare, anche se mai nominato- e non ci sono più né piante, né animali né vita. Il cielo è coperto “come un freddo glaucoma che rende sfocato il mondo”, la terra è coperta da uno spesso strato di cenere, le foreste sono distese di alberi anneriti che si spezzano e cadono uno dopo l’altro.

Gli esseri umani rimasti sono diventati cannibali e i pochi che rimangono sono quasi tutti sopravvissuti a dure battaglie. Ciò che caratterizza i personaggi principali –chiamati semplicemente L’Uomo e Il Bambino- è che non ricorreranno a questo neanche quando ciò significasse la loro sopravvivenza. E’ la linea morale che si rifiutano di oltrepassare mentre si aggirano per un ostile paesaggio di viandanti senza nome riempito con scarsi dialoghi.

Non sembrerebbe una storia molto interessante, ma milioni di persone hanno pensato che la prosa dell’autore, vincitore del Premio Pulitzer, sia così ben rifinita da sembrare leggerissima, tanto che spinge il lettore a proseguire lungo la tortuosa trama.


I produttori hanno compiuto un ottimo lavoro nel portare questo mondo sullo schermo: facce familiari come Viggo Mortensen, Robert Duvall e Guy Pearce sono irriconoscibili sotto le incrostazioni di sporcizia, e la colonna sonora è appropriatamente scarna. C’è un’adesione reverenziale alla trama asciutta ed episodica, che rifugge dalla solita azione moraleggiante e compiacente di Hollywood o alle facili soluzioni. Piuttosto hanno preso la direzione opposta, omettendo la scena più scioccante del libro, forse attenti a tenersi alla larga dal troppo appariscente stile dei filmetti slasher.

Comunque il mondo descritto nella pellicola è probabilmente impossibile: nessuno ha avuto modo di sperimentare un vero inverno nucleare, ma anche sotto un cielo costantemente coperto probabilmente alcune piante potrebbero crescere –esiste vegetazione anche nel sottobosco quasi buio della jungla, e negli angoli più oscuri delle caverne. Neanche il freddo avrebbe la capacità di impedire la crescita delle piante: qualche erba e alcuni alberi sopravvivono nelle regioni polari dove quasi ogni giorno dell’anno la temperatura è sotto zero e c’è oscurità per sei mesi, quindi la pioggia gelata descritta nel libro non potrebbe eliminare la vita sulla terra. Nemmeno le radiazioni lo potrebbero fare: come ha fatto notare Alain Weisman nel suo libro “The World Without Us”, l’area radioattiva intorno a Chernobyl è diventata un lussureggiante parco naturale. Al massimo la nostra improvvisa scomparsa produrrebbe una abbondanza di vita che attualmente noi stiamo eliminando.

Anche se dovessero morire tutte le piante della terra rimarrebbero comunque funghi ed insetti, come lo scrittore Ran Prieur ha fatto notare –i funghi sono citati una volta nel libro, gli insetti mai.

Mi sono soffermato su questi dettagli per dare risalto al fatto che questo mondo è solo frutto della fantasia di Cormac McCartthy, come l’estrema conseguenza del suo scavare attraverso tetri scenari. La Science-Fiction si è misurata con tali ipotesi di scrittura creativa: cosa succederebbe se tutti perdessero la memoria? Cosa succederebbe se una generazione fosse nata cieca e sorda? Cosa succederebbe se tutte le piante svanissero?

Se The Road cerca di essere una storia personale in uno scenario puramente immaginario, 2012 è l’opposto: 200 milioni di dollari fumanti di assurdità distillate con la pretesa di essere profezie, infarcite con un budget così alto che sarebbe sufficiente a dare da mangiare a un numero di bambini affamati del terzo mondo parin a cinque volte quello degli abitanti di Chicago. Il risultato è un pacchetto patinato che invita ad emozionarsi quando il romantico lascia passare una palla di fuoco, fare il tifo per il cucciolo salvato all’ultimo minuto, tirare un sospiro di sollievo quando i personaggi “brutti e cattivi” muoiono stando discretamente fuori dallo schermo.

La storia comincia con due scienziati che spiegano con voce roca che “i neutrini sono mutati in un’altra particella!” al che tutti si chiedono cosa possa questo significare, ad ogni modo apparentemente “sta colpendo il centro della terra come microonde”. Più tardi una video-testimonianza ci avvisa che alcune cose vagamente definite fanno si che la crosta terrestre cambi ogni 640 mila anni –vediamo un T-Rex animato che dice “Un’altra volta No!” La narrazione poi racconta che il geologo Charles Hapgood credeva in questa idea, che Einstein la sosteneva, che i Maya sono stati i primi a scoprirlo, e che i Cristiani lo hanno chiamato l’Estasi.


Si può scrivere un libro con tutte le incongruenze contenute in queste poche righe, ma, solo per fare alcuni esempi:

Se la vita sulla terra viene cancellata ogni 640 mila anni, stanno dicendo che la vita poi riparte da zero ad ogni ciclo? Che gli ominidi di nuovo dovranno evolversi da zero? Stanno dicendo che uno di questi cicli ha estinto i dinosauri 65 milioni di anni fa ma mai prima, o che sono morti 640 mila anni fa, o cosa?

E’ esistito realmente un Charles Hapgood la cui teoria era sostenuta da Einstein –menzionato probabilmente perché Einstein è l’unico scienziato che la gente conosce. Da quello che so, comunque, Hapgood non ha mai detto nulla riguardo l’anno 2012 o l’Estasi –la sua teoria del cataclisma cercava di spiegare perché sembra che i continenti siano stati diversi nel passato, prima che gli scienziati dimostrassero che si muovono lentamente. Einstein, da parte sua, era un fisico, non un profeta mistico.

Stando ad ogni archeologo che parla di Maya che ho letto, i Maya non hanno mai profetizzato che il mondo sarebbe finito nel 2012 –stando ad alcuni, infatti, non avevano una concezione della fine del mondo come ce l’abbiamo noi. Anche se ce l’avessero avuta, perché credere in qualcosa perché lo facevano loro? Dovremo forse cominciare a sacrificare schiavi agli dei iracondi?

Il film lascia intendere che il nome Estasi sia uno dei punti fondamentali della dottrina cristiana, sia introducendola nella sceneggiatura che nell’insensibile scritta sul poster “Sarai lasciato indietro?” ma L’Estasi, contrariamente alla credenza popolare, non è l’idea tradizionale cristiana sulla fine del mondo; è un’escatologia specifica inventata nel 19° secolo dal capo di una setta inglese chiamato John Darby, resa popolare tra gli hippies negli anni ’70 dal libro di Hal Lindsay “The Late Great Planet Earth” e reso poi in voga dalla serie “Left Behind” negli anni ’90. Non è nemmeno lontanamente quello in cui credono o in cui hanno creduto la maggior parte delle chiese cristiane, ed è solo un’idea New Age come quella del 2012 stesso.

Potrei menzionare molte altre sciocchezze sui disastri mostrati nel film –eruzioni solari, pozzi ribollenti, maremoto con onde sopra l’Himalaya (!), e una larga parte del Nevada che sprofonda dentro a …uhm… un’enorme vortice che sembra partire dall’interno della terra. Ci si può comunque fare un’idea di questo –nei paragrafi qui sopra ho prestato più attenzione a passare in rassegna le idee di chi ha realizzato il film o le idee che supponevano dovessero avere gli spettatori della pellicola.

Se la storia fosse solo ovvia finzione, quello che ho detto non avrebbe molta importanza –la gente l’avrebbe presa come uno sfizio per evadere la realtà, e si sa che i produttori devono fare affari. Ma come la serie Left Behind, in 2012 l’atteggiamento è quello di chi predice qualcosa di terribile che accadrà presto in questo mondo reale. L’unica differenza è che nella serie televisiva gli autori sembrano veramente credere a qualcosa di ridicolo, mentre qui i produttori sembrano speculare sulle paure della gente per fare soldi. Possono giustificarsi dicendo che il film è solo una finzione, ma non hanno messo assieme un altro ridicolo film come The Core o Volcano: hanno invece cavalcato un’onda di reale paranoia diffusa tra gente preoccupata.

Ho dedicato spazio a questo argomento perché, come dicevo sopra, Hollywood influenza il modo in cui vediamo le cose, volenti o nolenti. Noi meritiamo storie che abbiano a che fare con quello che le famiglie dovranno realmente affrontare negli anni a venire, e che ci diano un’immagine confortante di quello che la vita potrebbe essere. Se si pensa che ciò non possa essere fatto, dovrebbe essere Hollywood a dirlo.

Quindi che tipo di storie futuristiche proporrei io? Dirò di più la prossima settimana.

Titolo originale: "Video review: The Road and 2012 "

Fonte: http://restoringmayberry.blogspot.com
Link
27.04.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di TEMUJIN
letto su: www.comedonchisciotte.org

giovedì 27 maggio 2010

Il piano di Rinascita è realtà

27 maggio 2010
Propagando la menzogna su una lotta senza quartiere al crimine organizzato il governo sta facendo passare una serie di provvedimenti che minano alla base lo Stato di diritto

di Luigi De Magistris

Con la legge sulle intercettazioni il governo e la maggioranza servile che lo sostiene approvano l’ennesimo provvedimento che mira, scientemente, a consolidare la borghesia mafiosa della quale sono referenti oggettivi e garanti. Una delle più grandi menzogne di Stato degli ultimi mesi – pompata ad arte anche dalla propaganda di regime di Minzolini & Co. – è quella relativa al fatto che questo governo sia il migliore nel contrasto al crimine organizzato.

Il dato oggettivo è di segno diametralmente opposto. Questo governo, con le architravi centrali di Berlusconi e Lega, è quello che più di ogni altro si adopera per rafforzare un sistema intriso di corruzione e mafia. Come? Attraverso l’approvazione di leggi che non consentono alla magistratura e alle forze dell’ordine di esercitare il controllo di legalità e che privano la stampa della facoltà di poter adempiere al diritto-dovere di cronaca.

L’elenco di provvedimenti è davvero lungo, tanto che il piano Propaganda2 di Licio Gelli sembra quasi un puzzle da dilettanti. Ecco alcune leggi volute da Berlusconi e dai poteri forti e occulti dei quali è propaggine e garante e che sono avallate dalla Lega che, ormai, è divenuta partito architrave del sistema. La legge sullo scudo fiscale che introduce il riciclaggio di Stato praticato da evasori, mafiosi, corrotti, truffatori. I soldi delle cricche che ritornano dall’estero puliti dal governo. Il Parlamento divenuto lavanderia internazionale del denaro sporco.

La legge che prevede la vendita all’asta dei beni confiscati alle mafie, consentendo ai mafiosi di ritornare – attraverso prestanomi – nella disponibilità di immobili che hanno un altissimo valore simbolico in termine di predominio del territorio. La legge sul processo breve che cestina migliaia di procedimenti penali nei confronti dei colletti bianchi. Un’immunità generale per il premier e le cricche che in lui vedono il salvatore dal maglio inesorabile della Giustizia. La legge sul legittimo impedimento, servente al presidente del Consiglio per allontanarsi, come un mariuolo, dalle aule dei tribunali in barba all’art. 3 della Costituzione che sancisce che TUTTI i cittadini sono uguali davanti alla legge. La legge sulle intercettazioni che impedisce ai magistrati di utilizzare un mezzo di ricerca della prova fondamentale nel contrasto al crimine. Un provvedimento che vieta, inoltre, ai mezzi di comunicazione di pubblicare e raccontare i fatti oggetto delle conversazioni.

Con questa legge non avremmo saputo nulla della cricca di Anemone & Co, di Berlusconi che tramava per censurare Annozero, della D’Addario, di Calciopoli, dei pedofili, di Marrazzo, dei furbetti del quartierino, delle cliniche degli orrori. Nulla di nulla. Un Paese normalizzato nell’ignoranza dei fatti. I corrotti e mafiosi sempre più in alto a scalare le istituzioni. La legge che toglie al pubblico ministero il potere di indagare di propria iniziativa, costringendolo ad essere vincolato alle informative d’iniziativa della polizia giudiziaria e, quindi, del governo. Si attua, in tal modo, la dipendenza del pm dal potere esecutivo. La legge che modifica la legge sui cosiddetti pentiti prevedendo che riscontri alle dichiarazioni di un collaboratore non potranno essere propalazioni di altri collaboratori. Non solo. Si stabilisce che se una sola parte, anche infinitesimale, delle dichiarazioni non viene riscontrata, cade tutto. Una probatio diabolica.

Con questa legge tutti i maxi-processi alle mafie non si sarebbero mai potuti celebrare. Addio inchieste sui rapporti tra mafia e politica, tra mafia ed economia, tra mafia e istituzioni. Del resto, tutto naturale, come diceva Benigni, nel film Johnny Stecchino, affermando che in Sicilia il problema è il traffico.

Da il Fatto Quotidiano del 27 maggio
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

mercoledì 26 maggio 2010

Ritassare quelli dello scudo fiscale

26 maggio 2010

Le cose vanno male e, dice Gianni Letta, tutti sono chiamati a fare sacrifici. Perché, dunque, non rivolgersi a chi ha scudato i propri capitali chiedendo di versare un altro cinque per cento?

Adesso che il peggio è finalmente arrivato tutto torna a essere una questione di soldi. Tanti soldi. Per arginare un po’ la crisi e mettere una pezza ai conti dello Stato servono almeno 24 miliardi di euro. Il governo, per bocca del sottosegretario Gianni Letta, promette tagli e sacrifici per tutti. Pagheranno gli insegnanti e i genitori. Pagheranno i dipendenti pubblici. Alcuni stipendi saranno persino ridotti del 5 o del 10 per cento, mentre molti tra quelli che contavano di andare in pensione nei prossimi mesi non lo potranno fare. E così, anche se il premier Silvio Berlusconi assicura che non ci sarà “macelleria sociale”, sul tavolo restano i dati che crudamente indicano l’esatto contrario. Il sogno è finito. Il futuro degli italiani d’ora in poi è fatto solo di lacrime e sangue. Anche perchè il buco da ripianare, secondo molti osservatori, potrebbe presto ingrossarsi per toccare la cifra record di 50 miliardi di euro. Esiste un'alternativa a questo massacro? Si può evitare di andare a colpire ancora una volta quelli che il loro dovere col fisco lo hanno sempre fatto? Sì, si può. L’alternativa esiste. Ed è il contributo di solidarietà. Un contributo da richiedere ai più ricchi (e spesso più furbi) che nel giro di poche settimane permetterebbe all'erario di raccogliere 15 miliardi, senza modificare significativamente il tenore di vita di chi si ritroverà a pagare.

I conti sono presto fatti. L'ultimo scudo fiscale ha permesso a migliaia di evasori di regolarizzare anonimamente le loro posizioni versando allo Stato il 5 per cento dei patrimoni nascosti all'estero (100 miliardi). Così nel 2009 in cassa sono entrati circa 5 miliardi di euro. Visto che le cose vanno male e che tutti, dice Gianni Letta, sono chiamati a fare sacrifici perché, dunque, non rivolgersi a chi ha scudato i propri capitali chiedendo loro di versare un altro cinque per cento? Conosciamo le obiezioni. Ma come? La legge lo impedisce: lo Stato si è impegnato in un condono tombale, come può dopo soli pochi mesi rimangiarsi la parola? Semplice, lo fa. Esattamente come lo farà con gli insegnanti, i dipendenti pubblici, gli enti locali e tutti coloro i quali fino a ieri pensavano di aver maturato dei diritti che invece oggi, per far fronte alla crisi, verranno loro negati. Benché segreti gli elenchi nominativi degli evasori infatti esistono.

Per ricostruirli, spiega al Fatto Quotidiano una fonte qualificata di Banca d'Italia, basta rivolgersi agli istituti di credito utilizzati per scudare i patrimoni. In questo modo il contributo di solidarietà porterà a recuperare 5 miliardi. E gli altri 10? Anche qui la soluzione (se solo la si volesse adottare) c'è. E si chiama contributo di solidarietà sui grandi patrimoni familiari. A lanciare l'idea (con nessuna fortuna) era stato più di un anno fa, Giulio Santagata, l'ex ministro per l'Attuazione del programma del governo Prodi. Adesso però quella proposta va riesaminata con attenzione, visto che questa sorta di tassa patrimoniale una tantum non vuol dire prelevare denaro dalle tasche di tutti i cittadini, o colpire i semplici proprietari di un appartamento o di un pezzo di terra. Ma solo chiedere, come già accade in altri Paesi, a chi è più ricco di dare una piccola mano a chi sta peggio.

Vediamo come: in Italia la ricchezza delle famiglie ammonta, secondo Banca d'Italia, a 8000 miliardi di euro. Il 10 per cento di esse ha però in mano il 50 per cento del tesoro (oltre 4000 miliardi). È lì che bisogna andare a trovare i soldi. Ovviamente non dovranno essere tassati i beni produttivi, non si pagheranno cioè imposte sulla proprietà delle imprese. A essere tassato sarà invece il resto. E, visto che solo l'8 per cento di quei 4000 miliardi è ricollegabile all'attività d'impresa, la base imponibile (cioè il pezzo di tesoro sul quale il fisco può intervenire) toccherebbe i 3500 miliardi. Non tutti i proprietari comunque dovrebbero mettere mano al portafogli. L'idea è che il prelievo scatti solo a carico di chi possiede immobili, terreni, liquidi e titoli per più di 5 milioni di euro. Fatti due conti si scopre così che basterebbe un intervento del 3 per mille per far incamerare allo Stato 10 miliardi. Sarebbe impopolare un contributo di solidarietà del genere? No, perché riguarderebbe solo un parte minima della popolazione. Che, oltretutto, non verrebbe particolarmente vessata.

Il 3 per mille di 5 milioni (pari a quattro grandi appartamenti nel centro di Milano o Roma) equivale infatti a 15 mila euro. Per questo alle opposizioni spetta ora il compito di spiegare che un’alternativa alla macelleria sociale esiste. Mentre il centro-destra dovrebbe cominciare a riflettere su un punto: la sua base elettorale è ormai vastissima. Non comprende solo i super-ricchi e gli evasori. La stragrande maggioranza dei supporter del Cavaliere (e della Lega) è formata da persone comuni, con redditi e stili di vita normali. Tutta gente che adesso si sta risvegliando dal sogno. Per ritrovarsi in un incubo in cui, prima o poi, finirà per trascinare anche il governo.

Da il Fatto Quotidiano del 26 maggio
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it/

Crisi, i militari non stringono la cinghia


La Nato raccomanda agli alleati europei di aumentare le spese per la difesa. Il caso greco

La crisi del debito pubblico strangola le nostre economie, costringendo tutti i governi a imporre drastici tagli alla spesa pubblica. Stipendi e pensioni, sanità e istruzione: la parola d'ordine dell'Unione europea e del Fondo monetario internazionale è 'risparmiare su tutto'. O quasi tutto. C'è infatti una voce di spesa che sembra immune alle nuove misure di austerity: quelle militari. Su queste, anzi, i governi vengono addirittura sollecitati a investire di più, nonostante la crisi.


Un perentorio invito in questo senso è arrivato nei giorni scorso dai vertici della Nato.
Lunedì, il segretario generale dell'Alleanza atlantica, Anders Fogh Rasmussen ha presentato con grande enfasi a Bruxelles il nuovo 'Concetto strategico', il documento di orientamento politico-strategico con cui periodicamente la Nato ridefinisce il suo ruolo e le sue funzioni alla luce dei cambiamenti occorsi nello scenario internazionale. La redazione del documento era stata affidata al cosiddetto 'Gruppo di esperti', presieduto dall'ex segretario di Stato Usa, Madeleine Albright, e all'ex amministratore delegato della compagnia petrolifera Shell, Jeroen van der Veer.

Il testo, che sarà approvato al vertice Nato di novembre, spiega come i compiti dell'Alleanza atlantica saranno sempre più impegnativi, complessi e geograficamente estesi, e raccomanda quindi un maggiore impegno economico degli Stati membri europei, bacchettandoli per la loro scarsa propensione alla spesa militare: ''Se la Nato dovrà adempiere con successo a queste sue missioni, deve fermare il precipitoso declino delle spese nazionali per la difesa (...). La carenza di investimenti in questo settore in Europa è sempre stato il principale fattore di ostacolo alla trasformazione militare (dell'Alleanza, ndr). Oggi, su ventisei alleati europei, solo sei spendono a tal fine almeno il 2 per cento del loro Pil (...). Questo produce un profondo gap tra gli Stati Uniti e il resto della Nato, uno sbilanciamento che se perdura può minare la coesione dell'Alleanza''.

Presentando il documento alla stampa, Rasmussen ha reso ancor più esplicito questo invito. ''Nonostante le grandi sfide economiche che gravano sui singoli Stati - ha detto il segretario generale della Nato riferendosi alla crisi del debito in corso - è preoccupante osservare il crescente divario nella spesa militare tra Stati Uniti (quasi 4,7 per cento del Pil, ndr) e alleati europei (in media 1,7 per cento, ndr). Ho incontrato molti capi di governo che si trovano nella necessità di ridurre i propri budget destinati alla difesa: tagli troppo pesanti mettono a rischio la sicurezza futura e potrebbero anche avere implicazioni economiche negative''.

Le pressioni a non tagliare le spese militari non risparmiano nemmeno il malridotto alleato greco.
Lo Stato ellenico spende in difesa più di qualsiasi altra nazione europea: il 3,2 per cento del Pil, contro una media dell'1,7. Venerdì, il ministro della Difesa greco, Panos Beglitis, ha annunciato la necessità di un modesto ridimensionamento del budget (da 6,8 a 6 miliardi, arrivando quindi al 2,8 per cento del Pil). Invece di ricevere il plauso internazionale - come accaduto per l'annuncio della manovra lacrime e sangue imposta al popolo greco - ad Atene sono arrivate le proteste dei governi francese e tedesco: Parigi pretende che la Grecia confermi l'acquisto di sei navi da guerra della Dcns (al costo di 2,5 miliardi) e Berlino che Atene compri altri due sottomarini della Thyssen-Krupp (150 milioni).

Per mettere al riparo l'economia italiana dalla crisi del debito, il governo Berlusconi sta approntando una manovra biennale da 25 miliardi di euro, che prevederà dolorosi tagli alla spesa sociale.
Il nostro Paese spende in armi e in guerre 23 miliardi ogni anno, ovvero circa l,5 per cento del Pil. Qualcuno potrebbe proporre di prendere da qui un po' dei soldi che servono (rivedendo magari il faraonico programma di acquisto di 131 cacciabombardieri F-35), ma si scontrerebbe con le raccomandazioni della Nato, che come abbiamo visto guarda con disprezzo ai Paesi che spendono in difesa meno del 2 per cento del Pil. E i nostri governanti, si sa, con certa gente non vogliono fare brutta figura.

Enrico Piovesana
fonte: http://it.peacereporter.net

martedì 25 maggio 2010

Porto abusivo di faccia

25 maggio 2010

Sostiene Scodinzolini che il problema del Tg1 erano Maria Luisa Busi e Tiziana Ferrario, che “accompagnano le notizie con la mimica facciale e danno giudizi indiretti: questa è positiva, questa è negativa”. Ma ora il problema è risolto: la Ferrario l’ha rimossa lui e la Busi si è rimossa da sola. Resta Attilio Romita, quello che non ha mimica facciale nel senso che ride sempre, a prescindere, senza sapere perché, sia che annunci uno sterminio di massa, sia che informi di una manovra finanziaria da 25 miliardi, tuttovabenmadamalamarchesa. È come Calderoli: talmente giulivo di stare dove sta e mai avrebbe immaginato di stare che non riesce a trattenere la gioia incontenibile.

Restano da chiarire un paio di punti. Primo: come facevano la Busi e la Ferrario ad “accompagnare le notizie con la mimica facciale”, visto che il Tg1 non dà notizie? Per raccontare il caso, anzi la casa di Scajola, la Telepravda scodinzolina ha impiegato una settimana, il tempo di accertare che Sciaboletta fosse stato scaricato dal premier padrone, cioè politicamente morto: a quel punto, quando ormai i giornali di tutto il mondo avevano raccontato tutto, è arrivato anche il primo tg d’Italia, raccontando con tutte le cautele del caso che il ministro delle Attività produttive aveva scoperto che qualcuno gli aveva pagato la casa a sua insaputa e, per poterlo scovare e punire in tutta calma, si era dimesso. Nell’attesa, ammazzava il tempo con notizione del tipo: “Meglio dimagrire in fretta che un po’ per volta”, “Aspirapolvere miracoloso venduto porta a porta” (ma Vespa non c’entra), “Si chiama Pedibus, è un sistema per accompagnare i bimbi a scuola senza autobus”, “Sembrano vere, in realtà sono finte mucche d’autore”, “Che fine ha fatto la primavera?” (non ci sono più le mezze stagioni), “Si torna a parlare del coccodrillo del lago di Falciano”, “L’abbronzatura artificiale può dare dipendenza?”, “Anche le corde vocali invecchiano: per tenerle in forma, secondo gli esperti, cantare è uno dei messi più sicuri e va ancora meglio se si canta sotto la doccia”, “Arriva lo scanner per la scarpa su misura”, “Si chiama lyng down, consiste nello stendersi a pancia in giù nei posti più strani”, “Allarme obesità a Mosca” (a Palermo invece il problema è il traffico), “Chi non si è imbattuto nello stress del parcheggio in doppia fila?”, “È ora di cena, perché non parlare della pasta?”, “Gli stivali di gomma, un accessorio sempre più diffuso”, “Inventate le mutande anti-scippo”, “Allarme per la medusa quadrata”, “Del maiale non si butta via niente: la sagra del settore espone un cotechino da record”, “Un autista britannico è allergico alla moglie”, “Arrivano i corsi per maggiordomi” (tenuti alternativamente da Minzolini e da Vespa) e infine, a grande richiesta, “Tutti i segreti del peperoncino”.

Quando poi la notizia arriva a tradimento, provvedono le tecnologie a neutralizzarla. L’altroieri l’attore Elio Germano ha dedicato la Palma di Cannes “all’Italia, ma non ai suoi politici”. Il prode Vincenzo Mollica giura di aver inserito la frase nel suo servizio, ma purtroppo è sparita a causa di uno spiacevole “guasto tecnico”. Dicesi guasto tecnico il simpatico aggeggio inserito nelle attrezzature di montaggio per depurare i servizi da malaugurate critiche ai politici. Alle parole “contro” e “politici”, scatta automatico il taglio. Brevettato da Scondinzolini, il marchingegno ci è già stato richiesto dal governo russo dell’amico Putin, da quello bielorusso dell’amico Lukashenko e da quello libico dell’amico Gheddafi.

Secondo e ultimo punto: abolita la mimica facciale davvero sgradevole delle Busi e delle Ferrario, che si fa per la mimica facciale di Minzolingua? Beneficia forse di una speciale dispensa dei vertici Rai? Se è vero che, come diceva Dostoevskij, dopo i 40 ciascuno è responsabile della faccia che ha, urge bollino rosso per segnalare alle famiglie la presenza della faccia di Minzo in fascia protetta, perché possano portare tempestivamente in salvo i minori.

Da il Fatto Quotidiano del 25 maggio
fonte: http://antefatto.ilcannocchiale.it

La Coop sospende i prodotti dei coloni israeliani



Il gruppo toglie dai suoi scaffali i prodotti delle colonie israeliane. La notizia è stata accolta sui siti d'informazione palestinesi come un grande successo. "Solo una sospensione temporanea per motivi di trasparenza" per Coop. Ma il segnale è forte

La catena di supermercati italiana Coop e la Nordiconad, gruppo cooperativo della Conad che lavora in nord Italia come centro di acquisto e distribuzione, hanno deciso di interrompere la vendita di prodotti provenienti dalle colonie israeliane costruite nei territori occupati.

Circa il 60, 70 per cento della produzione agricola degli insediamenti ebraici - soprattutto frutta, verdura, fiori ed erbe aromatiche - è commercializzato dalla compagnia israeliana Agrexco, come testimoniato da Amos Or, direttore generale di Agrexco Uk durante un processo tenutosi nel 2004 in Gran Bretagna. I prodotti delle colonie sono distribuiti insieme a quelli provenienti da Israele sotto il marchio "Carmel", senza una distinzione esplicita.

La notizia della decisione di Coop Italia è stata resa nota nei giorni scorsi dal gruppo italiano Stop Agrexco Italia, parte della campagna internazionale Global Boycott, Divestment and Sanctions (Bds) for Palestine. Attraverso un tam tam sulla rete, la notizia è stata ripresa da moltissime Ong e organizzazioni della società civile palestinese, e non solo. Gush Shalom, storico gruppo pacifista israeliano, ha reso pubblica una lettera inviata alla Agrexco nella quale si legge che gli "sviluppi in Italia dovrebbero essere considerati come un campanello d'allarme" dall'azienda esportatrice. Nella lettera è stato inoltre sottolineato come la politica di mischiare i prodotti israeliani con i prodotti delle colonie metta profondamente "a rischio tutte le esportazioni agricole di Israele".

Coop Italia, come si apprende leggendo un comunicato indirizzato al gruppo Stop Agrexco Italia, dimostra di essere sensibile a questa tematica. La decisione arriva dopo innumerevoli sollecitazioni da parte di soci che chiedevano che fossero svolte delle indagini e che venisse chiarito per quale motivo non fosse indicata con precisione la provenienza di determinati prodotti. La catena di supermercati, anche in seguito ad alcuni incontri con il gruppo Stop Agrexco Italia, ha quindi deciso di contattare direttamente la compagnia esportatrice israeliana. Agrexco, rispondendo alla richiesta italiana circa un chiarimento, ha detto che: "Tali prodotti [quelli provenienti dalle colonie] sono contrassegnati nei documenti che accompagnano la merce, in modo da indicarne l'origine del luogo di provenienza così come richiesto dai regolamenti in vigore presso la Comunità Europea".

Coop Italia, dopo aver precisato che Agrexco non è un suo fornitore diretto, ha ritenuto che l'assenza di un'indicazione di provenienza specifica, indicata direttamente sul prodotto esposto, fosse in contraddizione con la sua politica di trasparenza nei confronti del consumatore. "Questa modalità di tracciabilità commerciale non risolve l'esigenza di un consumatore che voglia esercitare un legittimo diritto di non acquistare prodotti di determinate provenienze, in quanto l'informazione non è presente in etichetta". Sarebbe quindi questa la ragione ad aver spinto Coop Italia a "sospendere gli approvvigionamenti di merci prodotte nei territori occupati e quindi valutare se esistano possibilità di specificare maggiormente l'origine del prodotto". La decisione mira dunque a garantire una reale distinzione tra prodotti made in Israel e prodotti provenienti invece dai territori occupati. Coop Italia precisa però che si tratta di una sospensione temporanea di carattere commerciale e che non avrebbe niente a che fare con "una forma di boicottaggio generalizzato". Nel caso in cui Agrexco decidesse di rivedere la sua politica, la Coop sarebbe quindi pronta a ritornare sulla questione: "Si tratta di salvaguardare un diritto all'informazione corretta sull'origine dei prodotti, importante per garantire la libertà di scelta dei consumatori", si legge in una nota di precisazione della cooperativa.

La notizia è stata accolta, sui canali di informazione palestinese, come una vittoria della battaglia condotta dalla campagna internazionale Bds, dando largo spazio a quanto accaduto. Anche i media israeliani se ne sono occupati. Pur mantenendo toni molto pacati, sia il quotidiano Yediohot Ahronot sia Haaretz, senza utilizzare mezzi termini, hanno parlato di boicottaggio dei prodotti israeliani.

L'idea di boicottare Israele, una risposta non violenta all'occupazione militare, è stata lanciata nel 2005 da numerose organizzazioni della società civile palestinese e culminata nella creazione della campagna globale Bds, che gode di un sostengo sempre più diffuso anche a livello internazionale in diversi Paesi, tra cui l'Italia. Oltre al boicottaggio dei prodotti israeliani, la campagna internazionale coinvolge anche il mondo accademico-culturale.

Laura Aletti
fonte: http://it.peacereporter.net

Quando i giornalisti difendono la Costituzione

Uniti e compatti come mai si era visto, i direttori delle più importanti testate televisive e giornalistiche hanno firmato un appello congiunto contro il decreto legge sulle intercettazioni telefoniche. Lo contestano poichè, secondo loro, "viola il diritto dei cittadini ad essere informati".

Altri si appellano addirittura alla "libertà di espressione" e alla "libertà di parola", che verrebbero messe in serio pericolo dal decreto in questione.

Sono sicuramente parole nobili, che nessuno vorrà mai criticare. Si fatica però a capire che cosa abbia a che fare il testo di una intercettazione telefonica con la "libertà di parola e di espressione" dell'individuo.

Permettere o meno di pubblicare il testo di un'intercettazione è una questione squisitamente giuridica, ...


... che non ha nulla a che vedere con la libertà di parola. Esattamente come non si può insultare il presidente della repubblica, senza che questo significhi aver tolto al cittadino la “libertà di espressione”. Un divieto specifico non implica necessariamente la caduta di un principio generico.

Non solo è curioso questo improvviso richiamo ai principi costituzionali, da parte dei giornalisti, ma è ancora più curioso il loro richiamo al "diritto dei cittadini ad essere informati", che loro stessi ignorano sistematicamente per 365 giorni all’anno.

In realtà, è molto più probabile che a dare fastidio alle testate giornalistiche siano le multe severissime, previste nel caso di pubblicazione di intercettazioni non autorizzate, e non la presunta violazione di un principio costituzionale.

A riprova di questo, basta fare un piccolo esempio: in Emilia Romagna è stata implementata di recente una circolare del Ministero dell'Istruzione che proibisce agli insegnanti di "criticare o parlare male del governo". Un insegnante che il mese scorso aveva firmato una petizione contraria alla linea del governo è già finito nei pasticci. Questa si che è censura, questa sì che limitazione del sacrosanto diritto di parola e di opinione.

Come mai non abbiamo visto titoli a nove colonne contro questo chiaro abuso costituzionale? Come mai non abbiamo visto i direttori delle maggiori testate riunirsi in assemblea - addirittura con teleconferenza Milano-Roma - per chiedere il ritiro di questa circolare?

Perchè questo abuso, per quanto mille volte più grave dal punto di vista costituzionale, non li tocca direttamente.

Già è disgustoso vedere giornalisti di nome che di fatto tradiscono regolarmente la loro missione sociale, ma ancora più disgustoso è vederli appellarsi a certi principi, che dovrebbero difendere quotidianamnte, solo quando fa comodo a loro.

Massimo Mazzucco
fonte: www.luogocomune.net

RAGAZZI, COSI’ NON VA



DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com

“L’età della pietra non terminò certo per l’esaurimento delle pietre, così l’era del petrolio potrebbe terminare prima dell’esaurimento dei giacimenti.” Ahmed Zaki Yamani

Le nuvole, che corrono veloci nel cielo, raccontano una sola canzone: stai attento, Uomo, perché è giunto il tempo dell’espiazione. Con la guerra economica non dichiarata fra USA ed UE, ed una cosiddetta “Unione” Europea che claudica appena sente odore di banche, con un’opposizione che non è più nemmeno in grado di blaterare ma solo di bisbigliare, bisogna iniziare a considerare cosa accadrà all’indomani del peggio. E prepararsi.
Per questa ragione è meglio iniziare a meditare sul da farsi piuttosto che spiegare i mille perché di questa cloaca della politica, dove ognuno di noi sarebbe in grado di fare il Ministro dell’Economia, poiché basta colpire i poveri per arricchire i ricchi ed il gioco è fatto: più difficile sarebbe fare il Ministro delle Pari Opportunità, perché per farlo è necessario essere femmina.


Perciò, piuttosto che correre dietro alle mille sfaccettature del potere parafascista che oramai c’avvolge - e c’interessano assai poco le disquisizioni sul termine – abbiamo più a cuore il futuro.

Il nostro futuro gira attorno ad un grande problema che si chiama energia, perché questa è la campana a morto che presto aggiungerà nuovi drammi al nostro vivere di rimozioni: Pasolini c’era già arrivato negli anni ’70, e forse la pelle ce la lasciò proprio perché era giunto al nocciolo dei problemi.
Poiché, signori miei, chi controlla l’energia controllerà le vostre vite, che vi piaccia o no, ed il potere – apparentemente sfaccettato – non corre rischi nominando sempre persone di provata fiducia a quelle discrete poltrone, si pensi a Scaroni od a Chicco Testa.
Fra il gran calderone dei cosiddetti oppositori “propositivi”, siamo andati a ripescare il programma elettorale del MoVimento a 5 Stelle, che potrete scaricare dal collegamento in nota[1]

Già m’aveva convinto poco quando lo lessi ma ora, visto che i rappresentanti di Grillo sono entrati ufficialmente nelle istituzioni – ossia parleranno e proporranno per conto dei loro elettori – vale la pena d’approfondire un po’ quanto raccontano, soprattutto per uno dei temi più cari al Beppe nazionale, proprio l’energia.
Tutti ricordiamo le “storiche” performance di Grillo sull’energia: la lotta contro il nucleare, l’auto ad idrogeno con Beppino che beveva l’acqua di scarico…insomma, m’aspettavo di trovare fuoco e faville. Invece.
Metà del documento è dedicato alla certificazione energetica, ossia al risparmio d’energia sul riscaldamento invernale: giustissimo, poi leggo una frase che poco m’attizza.

Agevolazioni sulle anticipazioni bancarie e semplificazioni normative per i contratti di ristrutturazioni energetiche col metodo esco (energy service company), ovvero effettuate a spese di chi le realizza e ripagate dal risparmio economico che se ne ricava.

Visti i gran risparmi che s’otterrebbero con la riforma istituzionale proposta nel relativo capitolo, m’immaginavo almeno una quota di finanziamento a fondo perduto. Al minimo: invece, vai a bussare alla porta delle banche, oppure rivolgiti ad una società specializzata nel settore.
La bella trovata si chiama “esco”[2] , ovvero una società che s’occuperà della ristrutturazione per vostro conto, la quale anticiperà i capitali necessari, eseguirà le opere necessarie e, infine, avrà il suo utile appropriandosi di “una parte” dei risparmi ottenuti.
Ora, se ho ben compreso come funziona il capitalismo, non credo che esista qualcuno che lavora gratis: la “esco” – oltre a pagare materiali e personale per gli interventi, progettazione, permessi, ecc – vorrà avere un utile? Oppure, le “esco” sono figlie delle Dame di San Vincenzo?
Già immagino quale sarà la ripartizione dei “risparmi”: ci riuscite anche da soli? Passiamo oltre.

Dopo 8-12 anni, diverrete proprietari delle ristrutturazioni eseguite e godrete – finalmente! – i frutti dei vostri risparmi e di tanto sbattimento. Ma, dopo un decennio, cambieranno le tecnologie, l’UE stabilirà nuovi “traguardi” da raggiungere nel risparmio energetico e voi…dovrete semplicemente sottoscrivere un nuovo contratto con la “esco”! Ad libitum: capito mi hai? Ricorda tanto la famosa firma degli “esperti”, i quali sono gli unici ad essere autorizzati a fare le cose che potreste tranquillamente fare da soli.
Il movimento di Grillo s’è sempre vantato d’essere il movimento “della Rete”: ebbene, cari ragazzi – so che i programmi non li scrive lui – forse sarebbe l’ora d’uscire a prendere una boccata d’aria fresca, per osservare com’è fatta l’Italia. Che non è una JPG, è una realtà eterogenea per certi versi, ma omogenea per altri. Spieghiamo.

Il MoVimento a 5 Stelle (da qui in avanti, per comodità, MV5S) ha preso a paragone la situazione tedesca e quella della provincia di Bolzano, dimenticando che le leggi tedesche sulle riqualificazioni energetiche possono dare frutti tangibili in Germania, ed in Italia solo nelle Regioni a statuto speciale.
Perché solo in Germania?
Perché la Germania, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu praticamente rasa al suolo, al punto che dopo la guerra – a Colonia, con il 4% delle abitazioni “solo” danneggiate (il restante 96% distrutte)[3] – ci fu chi propose di ricostruire Köln da un’altra parte.
Questo per dire che le abitazioni tedesche hanno quasi tutte meno di mezzo secolo: anche le gloriose cattedrali che avrete visitato, sono in larga parte ricostruite. Ciò significa che gli interventi possono avvenire su un sistema abitativo relativamente recente.
La Provincia di Bolzano – senza nulla togliere alla bravura dei suoi amministratori – è quella più baciata dalla fortuna dell’Italico Stivale: deve tutto ciò alle straordinarie agevolazioni fiscali che ricevette in cambio della pace, ossia per gli accordi che misero fine alla guerriglia degli Schützen nel dopoguerra[4]
Senza farla lunga, non comprendiamo come si possano perseguire come modelli situazioni così diverse.
Qual è la situazione italiana?

Storicamente, l’Italia è la culla dell’ordinamento comunale: nessun Paese europeo giunse così presto all’organizzazione territoriale in liberi comuni. Ergo, lo Stivale – e di conseguenza il suo patrimonio abitativo – è molto antico.
Soprattutto nella dorsale appenninica, è un fiorire d’antichi borghi dove le nuove costruzioni, spesso, non superano il numero di quelle antiche. E i centri storici delle medie cittadine? Delle metropoli?
Fuori dalle JPG del Web, qualcuno sa cosa significa ristrutturare un’abitazione del ‘400? Io sì, perché l’ho fatto.
Ho tenuto il conto: 232 carriole di macerie e circa 300 di cemento. 350 metri di guaine elettriche, 200 metri di tubi per l’impianto di riscaldamento, ecc.
Seguendo la logica del MV5S, adesso dovrei interpellare una “esco” per rifare tutti gli infissi, intonacare l’esterno ed inserire i pannelli isolanti nelle solette e nel sottotetto. Il risparmio energetico che posso ipotizzare non supererebbe i 500 euro (a largheggiare, sarebbe il 40% del totale…) l’anno: quale “esco” s’impegnerebbe in una simile opera – siamo intorno ai 30.000 euro di lavori – in un decennio?
Se esiste un simile benefattore, si faccia avanti e firmerò domani stesso il contratto, impegnandomi a rendere pubblico l’accordo ed a rimangiarmi tutto quel che ho scritto, carta compresa, ed a pubblicare su Youtube il filmato nel quale mangio mezza risma di carta.

Devo confessare che questa gente non m’ha solo fatto incavolare: m’ha fatto imbestialire. Perché?
Poiché io sono un privilegiato, con stipendio “old style”: vogliamo parlare di questa bella pensata ad un lavoratore “atipico” (ossia, oggi, “normale”), magari una coppia con un figlio che mette insieme duemila euro e paga l’affitto od un mutuo?
Sapete come fa questa gente? Ve lo racconto io, perché non mi nutro di solo Web: ogni Estate – durante le ferie – si rimboccano le maniche e sistemano un pezzo di casa, come fecero decenni prima i loro genitori.

La soluzione equa non sono le belle pensate che tanto sanno d’alchimia finanziaria (non a caso, le “esco” sono un prodotto statunitense): si chiama re-distribuzione del gettito GESCAL, ossia dei soldi che paghiamo tutti in busta paga.
Per anni ci hanno raccontato che le case popolari se le prendono i “negher”, così la Lega ci ha imbastito la sua brava campagna d’odio, alla quale i beceri italioti hanno abboccato come triglie nella Luna d’Agosto.
Andate a vedere chi abita nelle case popolari.
Sopra tutti, le Forze dell’Ordine. Un milione di persone delegate alla nostra “sicurezza” – grazie per Aldrovandi, Uva, Cucchi, ecc – sono sempre i primi, in testa alla lista. Altro che i “negher”.
Poi, ci sono gli “amici degli amici”: negli anni ’80, a Savona – lo so perché ci abitavo e sfido chiunque a negarlo – per avere una casa popolare (salvo Carabinieri, Finanzieri, ecc) c’era una sola condizione: essere socialisti.
Quei soldi, che sono stati pagati da generazioni di lavoratori, ai lavoratori dovrebbero tornare sotto forma di contributi a fondo perduto per ristrutturare le abitazioni ed attuare il risparmio energetico. Altro che “esco”: qui – a forza d’immaginarvele dal Web – ci fate veramente “uscire”. Ma di testa.
Uscite voi dalla JPG, MV5S: osservate il mondo, per favore.

Ma, la chicca, riguarda la generazione d’energia. Qui, mi sa che per qualcuno non basta nemmeno più lo “strizza”: meglio passare direttamente dall’elettrauto. Leggo:

Per accrescere l’offerta di energia elettrica non è necessario costruire nuove centrali, di nessun tipo.

Qual è il segreto dell’alchimia? Portare il rendimento delle centrali termiche dell’ENEL dall’attuale 38% al 55-60%, mediante la co-generazione. Oppure, usare il vapore esausto per il teleriscaldamento.
Tutto OK, se non ci fossero un paio di “cosucce” che il MV5S non spiega:

1) Le centrali termoelettriche dell’ENEL non sorgono nei pressi delle città perché, se gli inceneritori sono dei cancro-generatori, le centrali a petrolio od a carbone sono dei cancro-generatori al quadrato. Cercare e verificare i dati riguardanti l’incidenza dei tumori nel Comune di Vado Ligure, “rallegrato” da decenni da una centrale ENEL. Vogliamo costruirle vicino alle metropoli? Altrimenti, la distanza vanifica lo sforzo: come chi vive nel mondo reale ben sa, non si può trasportare l’acqua calda per decine di chilometri, altrimenti si fa la doccia fredda.
2) Quanto costerebbe ristrutturare tutto l’apparato termoelettrico italiano, volendo sfruttare solo la co-generazione? Difficile dirlo: basta riflettere che la ristrutturazione della centrale di Civitavecchia Nord, da petrolio a carbone “pulito”, è costata 2 miliardi di euro![5] . Non è mica come aggiungere un radiatore in casa: sono costi astronomici! Ne vale la pena?
3) Tutto questo affanno per il settore termoelettrico, non prende in considerazione che è solo rottame, come il nucleare, poiché è tecnologia che andrà al macero fra pochi decenni! Oppure credete anche voi alla bufala del petrolio inorganico? Se qualcuno mi dimostra (parole, fatti, tesi…non collegamenti al solito prof) come ci possa essere del colesterolo nel petrolio “inorganico”, mi bevo un gallone di greggio. Per mandar giù la carta.

In tutto il programma del MV5S sull’energia, non c’è una sola parola sul solare (termico, termodinamico, fotovoltaico) e sull’eolico. Guarda a caso, le principali fonti alle quali potremo attingere nei decenni a venire. Una svista?
A dire il vero, qualcosa c’è, ma è genericamente tratteggiato:

Estensione della possibilità di riversare in rete e di vendere l’energia elettrica anche agli impianti di micro-cogenerazione di taglia inferiore ai 20 kW.

Qui, bisogna chiarire che la rete di distribuzione elettrica non è, attualmente, un sistema peer-to-peer, poiché fu strutturata in anni lontani nel concetto centro-periferia. Recentemente, l’UE ha iniziato a concedere fondi per la ristrutturazione della rete, per fare in modo che siano fruibili i “conti-energia”.
Il problema che si trova ad affrontare il gestore della rete, è quello d’immettere sufficiente energia rispetto al consumo (altrimenti, black-out a catena) ma di non “largheggiare”, altrimenti l’energia in surplus andrebbe sprecata e potrebbe addirittura causare dei danni. Per questa ragione, se la rete non è calibrata per ricevere milioni di conti-energia, il sistema va in tilt.
Un esempio “di scuola”, di fallimento nella gestione della rete elettrica, fu la privatizzazione della rete californiana, che provocò mesi di black-out a catena, poiché i privati – volendo o dovendo guadagnare – immettevano surplus d’energia troppo modesti. Al primo aumento improvviso della richiesta, black-out. Gli unici “polmoni” a disposizione per sopperire agli sbalzi sono il pompaggio dell’energia in quota, nei bacini idroelettrici, quando c’è un surplus (tipicamente, la notte) e l’accensione delle turbine a gas per sopperire ai “picchi”. Entrambe queste vie hanno delle controindicazioni: non sono molti i bacini idroelettrici attrezzati in tal senso, e ci sono ovvie perdite d’energia. Nel secondo caso, le turbine a gas non hanno eccelse potenze.
Dalla gente di Grillo, qualche parola sull’Idrogeno come realistico “polmone” per armonizzare gli sbalzi della rete, me lo sarei atteso: invece, nisba. Ma andiamo avanti, c’è sempre una nuova “perla”:

Incentivazione della produzione distribuita di energia elettrica estendendo a tutte le fonti rinnovabili e alla micro-cogenerazione diffusa la normativa del conto energia, vincolandola ai kW riversati in rete nelle ore di punta ed escludendo i chilowattora prodotti nelle ore vuote.

Qui, bisogna giungere all’esegesi, perché dobbiamo interpretare cosa siano queste “ore vuote”: chi ha scritto queste cose non sa che esiste la Borsa Elettrica, altrimenti non le avrebbe scritte. Altrimenti: che regalo all’ENEL!
La Borsa Elettrica funziona come qualsiasi mercato: il prezzo è determinato dall’incrocio fra la domanda e l’offerta. Il KWh prodotto a mezzogiorno e venduto all’ENEL, potrà fruttare 12 euro/cent, mentre lo stesso KWh prodotto alle tre di notte vi renderà solo 3 euro/cent. Poi, sono cavoli dell’ENEL e vostri.
Oppure, il MV5S desidera pianificare l’economia in modo socialista? Se è così lo dicano chiaramente, non è mica una bestemmia.
La compensazione fra l’offerta diurna e notturna è uno dei più gravi problemi della gestione elettrica: le centrali termoelettriche sono sistemi che hanno un’immensa inerzia. Si può comprendere il fenomeno con una paragone che tutti conosciamo: arrestare un motorino, richiede poca energia e tempo. Arrestare un treno, richiederà senz’altro più energia e più tempo, e così via.
Immaginiamo qual è l’inerzia di un sistema complesso come una centrale termoelettrica: caldaie che scaldano il vapore a centinaia di gradi centigradi, turbine che devono essere mantenute “in temperatura” pena gravi rotture, ecc.
Nel solo volgere della notte – quando la richiesta cala – non è possibile ridurre di conseguenza la produzione: si cerca d’utilizzare il surplus d’energia mediante l’invio d’acqua nei bacini in quota, ma spesso non basta. Presto arriverà la tariffa differenziata diurna/notturna – per incentivare l’uso degli elettrodomestici come lavatrici e lavastoviglie la notte – ma quel “presto” è già carico di decenni di ritardo. Il problema del rapporto produzione/consumo in chiave temporale – che spesso viene rigettato sulle rinnovabili – è in primis un problema del termoelettrico: per questo mi sarei atteso, da un programma energetico che voleva essere innovativo, la trattazione dell’Idrogeno, l’unico vettore energetico attualmente usufruibile.

Ma, di là delle imprecisioni e delle omissioni, quel che manca in quel piano energetico è l’esposizione dei concetti generali di un “piano”: analisi del problema, possibili soluzioni, piano energetico con relativa analisi dei costi e dei benefici, inevitabili problemi, tempi d’attuazione, costi e relative fonti di finanziamento, impatto sociale ed ambientale.
Non si creda che una cosa del genere debba per forza essere la Treccani: il programma energetico dell’Ulivo nel 2006 lo era proprio perché era slegato e contraddittorio mentre, se si hanno le idee chiare, poca carta ci vuole.

Per prima cosa dobbiamo smetterla di ritenere il risparmio energetico la panacea per tutti i mali: è ovvio che, nel volgere di pochi anni, sostituiremo le lampadine a filamento con quelle a Led, avremo tutti elettrodomestici di classe A+, eccetera, eccetera.
Possiamo attenderci da questi cambiamenti di fermare, almeno, la corsa dei consumi ma per risolvere il problema è su altro che dovremmo ragionare, ossia sulle rinnovabili e sulla gestione del trasporto.

Solo per dare una brevissima “occhiata” al problema, riflettiamo che il 30% circa dell’energia fossile è assorbita dai trasporti: cielo, mare e terra. Se in Italia consumiamo 200 MTEP d’energia, circa 60 MTEP vanno ai trasporti, con il trasporto gommato che fa la parte del leone. Una consistente parte di questa energia (da un terzo ad un quarto) va semplicemente sprecata nelle soste a motore acceso: code, semafori, ecc.
Alla fine, scopriamo che bruciamo parecchie MTEP (5?, 10?) perché gli attuali mezzi non sono più adatti al traffico congestionato delle città: o chiuderle al traffico, oppure utilizzare auto elettriche con alimentazione ad idrogeno. Un’auto elettrica, ferma, non consuma nulla.
Per renderci conto della dimensione del problema, riflettiamo che già il Ministro dell’Ambiente Matteoli – due legislature or sono – stimò in 5 MTEP il risparmio energetico che si sarebbe ottenuto dalla completa conversione al solare degli impianti per l’acqua calda sanitaria. Quante lampadine a led dovremmo installare? E’ giusto perseguire il risparmio energetico, ma non svenderlo su piazza per scopi di bottega.

Tanto per capire dove giunge l’abominio di far credere che il risparmio energetico tutto risolverà, ricordiamo cosa fece Pecoraro Scanio quand’era Ministro: l’unica “via” che lasciò aperta – oltre all’ovvio risparmio energetico, condito in tutte le salse e propalato ai quattro venti come il Vangelo – fu il fotovoltaico, ben sapendo che non è, attualmente, una fonte che possa fornire elevati quantitativi d’energia a costi accettabili.
Si guardò sempre bene dal nominare l’eolico, per non giungere allo scontro (i voti!) con la potente lobby di Italia Nostra, capitanata da Carlo Ripa di Meana, ex socialista, come Scaroni (ENI). La quale, stava conducendo – in tandem con Vittorio Sgarbi – la sua virulenta campagna “estetica” contro gli aerogeneratori: i quali, chiariamo, non vanno certo installati a fianco dell’antica abbazia romanica, ma sul colle opposto non rovinano il sonno a nessuno.
Per pararsi il sederino, Pecoraro “richiamò” Rubbia dalla Spagna e balenò l’idea delle centrali termodinamiche: tutto finì in un tourbillon di vuote dichiarazioni e di carte bollate. Rubbia, sconfortato, tornò in Spagna e gli italiani – unico Paese europeo – gettarono nel cesso i Verdi.
Per cadere poi dalla padella nella brace, ossia per fare un anacronistico “passo avanti” con il nucleare che arriverà chissà quando (probabilmente mai, è solo l’ennesima bufala di Berlusconi): che sia la strategia del gambero?

Un serio piano energetico dovrebbe partire, per prima cosa, dall’analisi dell’esistente, ma in senso storico.
Storicamente, l’era del petrolio sta terminando. Quella del gas seguirà a ruota, mentre quella del carbone potrebbe continuare, ma i costi d’estrazione – man mano che si scende – aumentano.
Colin Campbell[6] affermò che “giungeremo al momento nel quale impiegheremo due barili di petrolio d’energia per estrarne uno”.
Per l’Uranio, la stessa AIEA concede 40 anni a prezzi “nell’ordine” di quelli attuali – in realtà il costo dell’Uranio sale già oggi come un’iperbole – e “forse” altri 40, ma a prezzi decisamente maggiori: la ragione? Il sempre minor tenore d’Uranio nei minerali dai quali viene estratto[7] . Bisogna precisare che il costo dell’Uranio non fa la parte del leone nel costo del KWh elettro-nucleare, ma d’Uranio ce n’è veramente poco, e soltanto lo smantellamento degli arsenali nucleari degli anni ’50-60 (trattati SALT) consentì all’industria elettro-nucleare di sopravvivere. Insomma, non è una fonte sulla quale fare affidamento nei prossimi decenni.

Un serio politico, al quale venga presentato questo quadro, che fa?
Per prima cosa, domanda: ci sono altre fonti?
Gli scienziati risponderanno: sì, sono quelle naturali – magari anche la fusione fredda – ma abbiamo bisogno di parecchi anni per migliorare i sistemi di captazione. Alcune sono già oggi competitive – come l’eolico, il termodinamico e il solare termico – mentre altre (fotovoltaico, geotermico di nuova generazione, maree, pompe di calore, moto ondoso, eolico d’alta quota, ecc) richiedono ancora anni di studio e di sperimentazione per essere competitive.
Un politico intelligente, eviterà di porre l’annosa domanda “quando per questa? E per l’altra?” poiché le risposte che riceverebbe sarebbero soltanto lo specchio delle divisioni – e delle ambizioni – d’ogni Università e d’ogni centro di ricerca: finirebbe in un ginepraio.
Meglio fare affidamento su quanto è già utilizzabile e distribuire – con l’ottica dell’investimento a rischio – le risorse sulla ricerca per le altre fonti, dosando i soldi secondo i risultati via via ottenuti.

Su questa base, anche nel breve periodo, investire miliardi di euro per ristrutturare l’apparato termoelettrico è quasi gettare i soldi dalla finestra, giacché è troppo breve il lasso di tempo nel quale potrà essere utilizzato. Qualche centrale – laddove il teleriscaldamento sia attuabile – potrebbe essere ristrutturata, poiché in quel caso il rendimento raggiunge e supera l’80%, ma non andare oltre. Perché?
Poiché non è assolutamente detto che la fine del sistema petrolifero coincida con l’esaurimento delle fonti: prezzi troppo alti, generati dal restringersi dell’offerta, potrebbero far scemare l’interesse per i fossili molto prima, già nell’arco dei prossimi 10-20 anni. Osserviamo come sta già oggi crescendo il prezzo del greggio, seppur in tempi di stagnazione economica!
Se le fonti, oggi, realmente utilizzabili per produrre consistenti volumi d’energia sono l’eolico ed il termodinamico – ed arrestando la crescita dei consumi con nuove tecnologie di risparmio energetico (fra le quali comprendiamo, per comodità espositiva, il solare termico) – la buona politica sarebbe quella di sostituire man mano, con le rinnovabili, le centrali termoelettriche. Altro che ristrutturazioni.

Scapolato il primo scoglio, ne appare subito un secondo: piccolo o grande?
La sirena del “piccolo è bello” è gradevole da ascoltare, ma è soltanto una sirena poiché i costi di produzione del singolo KWh, man mano che si scende nelle dimensioni, parallelamente aumentano.
Un aerogeneratore da 3 MW costa 3 milioni di euro: un modello da 3 KW non costa, proporzionalmente, 3.000 euro ma più di 10.000[8] questa è la realtà! Inoltre, con il vostro mulino da 3 KW – piazzato a terra, presumiamo nei pressi della vostra abitazione, anche in aree ventose – difficilmente riuscirete a raggiungere le 1500 ore annue di produzione alla massima potenza (ossia, la convenienza dell’investimento). Lo stesso modello, sistemato in una gola ventosa, potrà giungere (forse) a 1.700, ma è l’altezza da terra che vi fregherà. Un grande aerogeneratore, nello stesso luogo ma con un palo di 75 metri, produrrà almeno per 2000 ore l’anno, in mare raggiungerà e supererà le 3000 ore annue. Già: ma in mare non potrete mai, da soli, andarlo a piazzare.

Se riflettiamo su questa tendenza a voler ridurre tutto a dimensioni “controllabili” – lo so che va per la maggiore e che stride con il comune sentire – scopriremo che, a monte, c’è la nostra incapacità di sentirci nazione, Stato.
Portare tutto alla dimensione del “piccolo” significa confessare l’incapacità di saper gestire – in modo genuinamente collettivo, e non come “appendice” di questa o quella casta – qualcosa che sia più grande di un pollaio: probabilmente, questa è la ragione che ha condotto gli estensori del piano energetico del MV5S a non menzionare grandi impianti.
Il che, però, è una falsa soluzione del problema, poiché i dati tecnici (difficoltà di gestire milioni di conti-energia) ed economici (alto investimento rispetto alla produzione d’energia) non sorreggono affatto questa tesi.

Si dirà che socialmente può rappresentare un passo avanti: sbagliato perché, se osserviamo il processo di polverizzazione sul territorio, ricalca in pieno il fenomeno che si produsse nei secoli “a cavallo” del fatidico 476 D. C., ossia quando una coesa organizzazione – l’Impero Romano – collassò in migliaia di minuscole realtà. Si dovette attendere mille anni per avere nuovamente una rete di trasporti ed un’organizzazione in qualche modo “statale”, seppur sotto dominazione straniera.

In definitiva, è accettabile un sistema di piccole realtà coese, ma solo in presenza del riconoscimento di una realtà unificante, ossia lo Stato. Altrimenti, si rischia la peggior faccia di una presunta anarchia.
Detto fuori dai denti, gli italiani sarebbero felici d’avere ciascuno il proprio pannello solare, il proprio aerogeneratore…come il proprio orto, ecc. Questo conduce, all’eccesso, a desiderare la “propria” ferrovia o strada, mentre in Europa gli Stati più coesi hanno sistemi collettivi di trasporto e per l’energia che funzionano. In questo, purtroppo, la filosofia del piano del MV5S ricalca una sorta di populismo il quale – pur apparendo opposto a quello di Berlusconi – ne ricalca le basi: si sfruttano parole d’ordine facili da interiorizzare per le persone più superficiali, mentre nel confronto con la realtà non si osa osare, ossia si finisce per partorire il topolino della ristrutturazione termoelettrica. In quel piano, per dirla tutta, c’è poco Rifkin e tanto Scaroni: proprio la persona che lo stesso MV5S ritiene non ammissibile alla carica che occupa, perché condannato!
E, qualche sospetto, s’aggiunge quando dal blog del Beppe nazionale parte la famosa proposta dello “sciopero della benzina”, ossia non acquistare benzina dalla rete Exxon. Ma chi favorirebbe un tale, insensato “sciopero”, se non l’ENI?

Per chi ancora non crede a queste riflessioni, sottoponiamo la situazione che si è creata con le agevolazioni fiscali per il solare termico: ho seguito personalmente un paio di queste realizzazioni, e chi lo ha fatto non è proprio soddisfatto.
Il sistema funziona bene nell’Italia peninsulare ed insulare (insolazione, assenza di nebbie, ecc), mentre nella parte continentale si ha scarsa produzione in Inverno e forti surplus d’Estate.
In Estate, l’acqua del circuito primario viene tenuta in “stand-by” a 180°, poiché la produzione supera di gran lunga anche i più elevati consumi familiari: potrebbe, questo surplus, essere utilizzato per la produzione elettrica, ossia trasformare l’impianto in un ibrido termico/termodinamico?
Sì, a patto d’accoppiare all’impianto la “parte” termodinamica: turbina, generatore elettrico, condensatore per i vapori, sistema elettronico di controllo automatico dei flussi. Vale la pena?
Siccome la ristrutturazione del sistema sarebbe la stessa per impianti monofamiliari o condominiali, il costo unitario sarebbe troppo alto nel primo caso, più favorevole nel secondo. Se, poi, pensiamo a grandi impianti come alberghi ed ospedali, la convenienza sarebbe ancora maggiore.
Come potrete osservare, il vecchio “l’unione fa la forza” è ancor valido, anzi, validissimo: per contro, chi propaganda le soluzioni individuali, come pensa di far fronte all’assenza di vento o di sole? Con i conti-energia generalizzati ma, come già abbiamo avvertito, ci vorranno anni d’investimenti per riuscire ad avere una rete energetica peer-to-peer, che produrrebbe comunque meno per singolo MW installato in piccoli impianti.

La soluzione rimane sempre e soltanto politica: creare grandi impianti con una vera gestione collettiva, scorporandoli dal controllo dei grandi gruppi a capitale misto come ENEL ed ENI, e sottoposti al controllo di un’autorità di garanzia, a sua volta verificata per il suo operato dalla Magistratura. Sarebbe difficile sgarrare: sempre che ci sia completa separazione dei rispettivi ambiti e compiti.
Se crediamo che tutto ciò sia impossibile da realizzare, allora è lo Stato italiano stesso a non esser più credibile e le soluzioni sono soltanto due: rimanere per cambiarlo (ma fuori delle proposte delle attuali forze politiche) oppure emigrare. Tertium non datur. Per andare dove?

Le stime sulle potenzialità eoliche del territorio italiano variano in una “forbice” fra 5.000 e 10.000 MW di potenza installata: sul territorio italiano. Avevo proposto, in precedenti articoli[9] , la possibilità di trarre il 44% della richiesta elettrica nazionale da tre grandi “campi” eolici in mare, da situare nelle aree a maggiore ventosità, individuate dal CESI nel basso Adriatico, nel Canale di Sicilia e a sud della Sardegna.
Tre estese installazioni off-shore, nei tre punti precedentemente indicati, che utilizzassero piattaforme ancorate ad una distanza di 20 Km dalla costa (all’interno delle acque territoriali, ma con fondali intorno ai 100 m), consentirebbero d’installare circa 10.000 aerogeneratori da 5 MW di picco. Immaginiamo tre “corridoi” lunghi circa 200 Km ciascuno, (provvisti di canali per la navigazione ad intervalli regolari) larghi circa due chilometri: “immaginiamo”, perché da terra non si vedrebbe nulla.

A margine, notiamo che proprio in questi giorni sta venendo alla luce l’ennesima storia di corruzione e di tangenti che riguarda proprio l’eolico[10] : perché? Poiché l’eolico è oggi una delle poche fonti che consenta consistenti utili a fronte dell’investimento impiegato: per questa ragione la Casta si sta “buttando a pesce” ad installare torri eoliche (e Sgarbi – avete notato? – non compare più per fare le sue “filippiche estetiche”!), giacché spera in un nuovo cespite di ricchezza per il solito ceto politico/affaristico pigliatutto. Fra l’altro, nell’inchiesta è saltato fuori ancora una volta il nome del “faccendiere” Flavio Carboni, che già era finito nell’inchiesta per la morte di Roberto Calvi[11] : sempre i soliti nomi, le stesse persone!
E’ dunque importante non trattare solo l’aspetto tecnico dell’energia, ma comprenderne a fondo le implicazioni sociali, altrimenti si finirebbe – come sempre – per arricchire pochi ed impoverire i più. Proprio l’opposto di quella che sarà la nostra proposta.

Siccome nelle tre aree indicate il CESI stima una produzione alla massima potenza per almeno 3000 ore/anno (in realtà, fra le 3.000 e le 4.000), s’otterrebbero ogni anno circa 150.000 GWh, che rappresentano il 44% circa del fabbisogno elettrico italiano (anno 2006). L’investimento richiesto sarebbe dell’ordine dei 50 miliardi di euro[12], da diluire in un decennio: come trovare i soldi? Lo vedremo dopo: un passo alla volta.
La costruzione di un simile apparato in un decennio, consentirebbe alla rete elettrica di compiere le trasformazioni necessarie, ossia aumentare “l’elasticità” del sistema: per questa ragione, oltre all’incremento dei bacini in quota utilizzabili come “polmone”, sarebbe necessario iniziare una seria sperimentazione sull’Idrogeno, sia come riserva energetica, sia per l’autotrazione, sperimentandolo su un modesto parco auto.

La principale critica che può essere portata a questa proposta riguarda l’incostanza della fornitura: è una critica sensata.
Per prima cosa, tre “campi” eolici così distanti difficilmente potrebbero avere identiche condizioni di vento il quale, in mare, soffia con maggior costanza che a terra: questo, qualunque velista lo sa. Solo in Estate – ampia omeotermia nel bacino del Mediterraneo – la produzione potrebbe essere più incostante, ma in Estate si raggiungerebbe il massimo della produzione termodinamica.
Le mappe eoliche redatte dal CESI confortano in tal senso, ma solo una sperimentazione sul campo potrebbe fornire elementi utili per “calibrare” il sistema: non dimentichiamo che, quella sperimentazione (ossia la metodologia), si trasformerebbe immediatamente in know-how spendibile e fruibile ovunque.

Per le centrali termodinamiche, varrebbe la pena di seguire l’esempio spagnolo: dopo aver sperimentato centrali da 10 MW, ne stanno costruendo da 50 MW, che iniziano ad essere significative nel panorama energetico spagnolo. La tendenza sembra quella di giungere a centrali di maggior potenza, 250-350 MW, peraltro già esistenti negli USA.
La miglior scelta sarebbe installare quei sistemi nell’entroterra dell’Africa del Nord (emissari tedeschi stanno esplorando questo scenario), giacché il rendimento sarebbe superiore di un buon 25%, ma qui intervengono problemi d’accordi internazionali di lungo periodo non facili da gestire.
Lo spazio per creare una decina (o più) di questi sistemi ci sarebbe comunque, in Italia, soprattutto dove ci siano terreni di scarso valore agricolo: Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia. Ricordiamo che il sistema termodinamico aumenta il rendimento al calare della latitudine.

Ci sono poi le fonti “dimenticate”.
L’idroelettrico italiano preferì, nel dopoguerra, puntare sugli impianti con forti cadute: era un’altra epoca, e si possono capire quelle scelte. Furono completamente dimenticati l’idroelettrico con basse cadute e quello ad acqua fluente: un non recentissimo studio dell’ENEA (Tondi, 1999), censiva almeno 850 MW di potenza mini e micro idroelettrica (l’equivalente di una grande centrale termoelettrica) non sfruttati.
E’ bene ricordare che in quello studio furono conteggiate soltanto le cadute d’acqua prossime ai centri abitati, cosicché fosse possibile contenere i costi d’impianto e di trasporto dell’energia, ma ciò che si può ricavare dalle nostre cadute d’acqua – senza costruire dighe né fare ciclopiche colate di cemento – è parecchio di più (alcune fonti giungono a 3.500- 4.000 MW di potenza installata).
Gli impianti idroelettrici – anche di piccolissima taglia – sono facilmente fruibili in un quadro di conto-energia, giacché la potenza nominale è molto vicina a quella reale d’esercizio, visto che la maggior parte di quei flussi è costante. Le realizzazioni più grandi, invece (grandi laghi, ecc), presentano il vantaggio della regolazione dei flussi.

Come si può notare, il settore energetico è interdipendente con altri: il sistema idrogeologico e l’utilizzo dei fiumi per il trasporto fluviale.
Laddove s’interviene per mettere in sicurezza alvei ed argini dei corsi d’acqua, la possibilità d’inserire in quelle ristrutturazioni la possibilità di sfruttare le cadute d’acqua, contribuirebbe ad abbattere le spese d’investimento.
Il Lago Maggiore, per citare un solo esempio, ha una differenza di livello stagionale di circa due metri, senza giungere al livello di guardia[13]: una semplice chiusa che generasse una caduta d’acqua d’altezza modesta, quanto renderebbe, in termini energetici, con un flusso di milioni di metri cubi? E, ciò, contribuirebbe a contenere un’importantissima massa d’acqua, da utilizzare nella stagione estiva quando i flussi decrescono. Si potrebbe applicare la medesima prassi per altri laghi, piccoli e grandi.
Sulla sciagurata gestione del trasporto fluviale mi sono già espresso in precedenti articoli, e lo farò nuovamente in futuro perché ci sono novità: ricordiamo solo che i russi (certo, sono altri fiumi…) hanno una potenza installata di 50.000 MW sulle sole cadute d’acqua delle chiuse fluviali.

E veniamo alla parte economica.
Il concetto generale sul quale conviene ragionare è che il prezzo dell’elettricità prodotta con i fossili è passibile di sbalzi improvvisi, generati da fattori generali (diminuzione delle risorse, aumento dei costi d’estrazione) e locali (tassi di cambio, guerre, rivolgimenti geopolitici, cause naturali, ecc). I fattori di rischio, sulle rinnovabili, sono sensibilmente minori.
Il costo del singolo KWh, per impianti eolici di grande taglia, in mare, viene stimato intorno ai 3,5 euro/cent[14] (competitivo rispetto al termoelettrico, soprattutto considerando che il vento costerà sempre la stessa cifra, il petrolio non si sa), mentre Rubbia stimò il costo del KWh termodinamico in 10 euro/cent per le prime applicazioni, che sarebbe sceso a 6 col progredire della tecnologia e per grandi impianti[15]. Previsione rispettata negli impianti spagnoli: già, ma Rubbia è là e non in Italia.
Quanto costa un KWh elettrico al consumo?

Risposta difficilissima, giacché la bolletta elettrica è più incomprensibile del Trattato di Lisbona: sarà un caso? Comunque, eseguendo una semplice divisione, si ricava che s’aggira intorno ai 20 euro/cent: in quella differenza fra l’acquisto e la vendita, ci sono varie gabelle ed i ricavi della società.
A quanto acquista l’energia, l’ENEL?
Qui, i dati si discostano molto secondo gli anni presi in esame: se consideriamo gli anni dell’impennata petrolifera, prima della crisi del 2009, il costo medio d’acquisto s’aggirava intorno ai 10 euro/cent per KWh, mentre oggi (diminuzione della richiesta industriale) è sceso intorno ai 7. Nulla, però, è più instabile – come prezzi – di un sistema dove le quote d’energia sono finite, ossia con diminuzione costante nel tempo delle riserve ed infiniti “giochi” finanziari, a partire dai semplici rapporti di cambio fra le valute.

Sicché, un’estesa produzione eolica si troverebbe a produrre a 3,5 euro/cent per KWh, ed a vendere al doppio: un’enormità! Avete capito perché ci si buttano a pesce e ci ricamano pure un sistema di corruzione?
In un solo anno, la produzione eolica precedentemente ipotizzata (150.000 GWh) consentirebbe un ricavo di 5,25 miliardi di euro! Lo crediamo bene che gli “aedi estetici”, i quali blaterano contro l’eolico, trovino sempre porte aperte sulle reti nazionali! Non dimentichiamo che sarebbero soldi “strappati” al gran monopolio termoelettrico e nucleare, Scaroni e & soci. Quando, invece, c’è la prospettiva d’entrare nel “piatto ricco” dell’eolico, imbavagliano “l’aedo” come nel villaggio di Asterix: insomma, un cantore a comando.
Il termodinamico ha oggi costi superiori, ma ha un vantaggio: produce soprattutto nelle ore diurne – anche se il sistema d’accumulo consente una limitata autonomia notturna, ma in presenza d’altre fonti (eolico, idroelettrico, ecc) non sarebbe necessario – ed è quindi favorito dall’innalzamento della domanda diurna, che fa salire i prezzi d’acquisto alla Borsa Elettrica.
Partendo da questi incoraggianti dati, potremo stendere sia il piano di finanziamento, sia la destinazione degli utili. Non dimenticando che gli impianti rinnovabili iniziano a produrre il giorno dopo la loro installazione, non nel 2020 come le (im)probabili centrali di Berlusconi.

Con simili prospettive d’ammortamento degli impianti e di guadagno, sarebbe possibile immettere sul mercato un prestito obbligazionario molto avvincente, sicuramente più redditizio degli asfittici BOT e CCT e dei buoni postali. Almeno un 2% in più.
Siccome la gestione dell’energia dovrebbe, in primis, essere rivolta al sociale, i “tagli” delle singole obbligazioni dovrebbero essere bassi (250 euro, ad esempio) per fare in modo che non siano i soli grandi investitori ad avvantaggiarsene, ma anche i piccoli risparmiatori, la nonnina che mette da parte qualche soldo per il nipotino.

Infine, i guadagni della società confluirebbero in un fondo nel quale il 20% sarebbe destinato alla ricerca e l’80% alla separazione della previdenza dall’assistenza, ossia per il soccorso sociale: potrebbe diventare la “prima pietra” per un vero reddito di cittadinanza, al minimo un serio assegno di disoccupazione. Riflettiamo (solo per renderci conto degli ordini di grandezza, perché si dovrebbe prima pensare all’ammortamento) che, con 5 miliardi di euro, sarebbe possibile destinare ogni anno un reddito di cittadinanza di 300 euro mensili per quasi un milione e 500mila italiani! Il tutto, verificato ogni anno dalla Corte dei Conti, con pubblicazione dei bilanci ed analisi dettagliata degli stessi.
Questi sono gli interventi che cambiano la vita, non i pochi spiccioli d’aumento (quando, oramai, non sono “tagli”!) sugli stipendi e sulle pensioni! Difatti, in Germania – dove 400.000 persone lavorano nella nuova industria energetica e si punta sulla nuova economia, quella del risparmio e del riciclo – le condizioni di vita sono ben altre. E, si noti, con la prospettiva di spegnere le centrali nucleari man mano che giungeranno al termine della loro operatività: c’è già, nel piano energetico di Monaco di Baviera (oltre a Dusseldorf, Kassel, Augsburg e Freiburg), la completa autosufficienza (anche per le industrie!) per il 2025![16]

Se seguissimo una simile agenda, potremmo iniziare a chiudere (con gradualità) la metà delle attuali centrali termoelettriche già intorno al 2020: scusate se è poco. E senza costruire le fantomatiche centrali di Berlusconi, un azzardo che sembra più utile a riempire le tasche dei cementieri che altro!
Costruendo in Italia i sistemi – coinvolgendo marchi “storici” dell’industria nazionale, pubblici e privati (Fiat, Ansaldo, Italcantieri, Oto Melara, ecc) – l’Italia balzerebbe nelle prime posizioni per il know-how che ne deriverebbe. Centinaia di migliaia di posti di lavoro sicuri e ben retribuiti, la possibilità di tornare – com’era un tempo – la nazione che vinceva gare d’appalto all’estero e costruiva di tutto: dighe, ponti, strade, ecc.
In questo modo, si rimetterebbe in moto quel “circuito virtuoso” che vide, in anni lontani, le grandi industrie responsabili delle realizzazioni (e della ricerca) e le piccole e medie imprese nella veste di sub-contraenti. Il sistema, fino agli anni ’70, funzionò benissimo.

Come potrete notare, mancano all’appello le biomasse ed i trasporti: mi riprometto di tornarci con articoli ad hoc, per non appesantire la trattazione. Non ho scritto centinaia di cartelle e, se ci riferiamo al solo piano energetico, è abbastanza circostanziato e sta in 5 cartelle: è un piano criticabile e migliorabile, ma è coerente senza essere una sterile sequenza di buoni propositi.

Se fossimo dei malpensanti, potremmo concludere che il programma del MV5S sia stato scritto – a sei mani – da un rappresentante dell’ENEL, uno dell’ENI e da un terzo dell’Associazione Cementieri: così non è. Almeno, non abbiamo elementi per suffragare una simile, odiosa accusa.
Preferiamo credere che chi ha scritto quel programma pecchi d’inesperienza da un lato, e di scarsa lungimiranza dall’altro, come si può comprendere leggendo anche altre parti del programma, laddove per i trasporti si dedica gran spazio alle piste ciclabili (per carità, giustissimo) dimenticando che il grande problema italiano dei trasporti è legato alle merci.

Se questo è il “futuro” della politica italiana, possiamo ben credere che il MV5S non abbia intercettato più di un quinto (ad essere generosi!) dell’astensionismo consapevole. Usciti allo scoperto, però, da oggi in poi dovranno dialogare e rispondere alle critiche – e non si venga a dire che questa critica sia poco approfondita e non propositiva – che da più parti giungeranno. Compresa la lobby nucleare che già sta affilando le lame della sua disinformazione, anche sul Web.
Siccome so che parecchi gruppi legati a Grillo leggono i miei articoli, non rispondere significherebbe soltanto una cosa: quel programma fu veramente scritto a sei mani. E sapremmo anche da chi.

Comunicato

Domenica 30 Maggio 2010, alle ore 15, sarò presente presso il centro “Locomotiv” a Bologna – vicino alla stazione, dentro il parco del Dopolavoro Ferroviario, entrate da via Serlio 25/2 e via Stalingrado 12 – per un incontro organizzato dall’associazione Faremondo (http://www.faremondo.org/).
L’intento dell’associazione è quello di proporre “l’uscita” dal Web di quelli che si ritengono, oramai, “anticorpi” di questo dissennato vivere sociale. Per continuare anche sul Web, ma non solo.
L’incontro è stato genericamente intitolato “L'energia migliore: per quale tipo di società?” proprio per evidenziare come il problema energetico sia intimamente correlato con i modelli sociali. Ma, non necessariamente, si parlerà solo d’energia (meno che mai in senso strettamente tecnico): anzi, la comune decisione – mia e di Faremondo – è quella, più di “parlare”, di “far parlare”.
Riflettiamo che, a breve, ci troveremo ad affrontare la follia nucleare dell’imperatore, e questo in un quadro di sempre maggior precarietà del lavoro, dei diritti, delle nostre vite concepite soltanto come “risorse umane” da sfruttare o da gettare all’ammasso.
Prima o dopo, questo “treno” liberista – mal concepito, mal gestito, oramai senza guidatore, che in Italia si sostanzia in una manovra economica che prende ai poveri per dare, ancora una volta, ai ricchi – sarà prossimo a deragliare, ed i segni sono sotto i nostri occhi: sarebbe meglio essere preparati per tempo.
Il Web è utilissimo, ma da solo non basta: vi aspettiamo.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2010/05/ragazzi-cosi-non-va.html
25.05.2010

[1] Fonte: http://www.beppegrillo.it/iniziative/movimentocinquestelle/Programma-Movimento-5-Stelle.pdf
[2] Vedi: http://guide.supereva.it/risparmio_energetico/interventi/2003/03/131758.shtml
[3] Fonte: Friedrich Jörg, La Germania Bombardata, Mondatori, Milano, 2005
[4] Vedi: http://www.youtube.com/watch?v=z5aXBtgJbTM&feature=related
[5] Fonte: http://www.lavoroinregola.it/midcom-serveattachmentguid-a3978f5e872e11deaf8e4d4b277bb7a1b7a1/studio_di_caso- la_centrale_enel_di_torrevaldaliga_nord.pdf
[6] Vedi: http://it.wikipedia.org/wiki/Colin_Campbell_(geologo)
[7] Approfondimento: http://aspoitalia.blogspot.com/2009/09/le-risorse-di-uranio-cronaca-di-una.html
[8] Vedi: http://www.fabiobe.com/p/156/costo-generatori-eolici/
[9] Vedi: http://carlobertani.blogspot.com/2009/03/venti-nucleari.html
[10] Vedi: http://iltempo.ilsole24ore.com/politica/2010/05/19/1160589-tangenti_eolico_spuntano_sicilia_campania.shtml
[11] Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Flavio_Carboni
[12] Per l’eolico a terra, si stima un costo di un milione di euro per MW installato. In mare, il 25% in più: però, un così vasto progetto godrebbe d’importanti risparmi “di scala”. Tutti i calcoli sono al netto dei “Certificati verdi”.
[13] Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Lago_Maggiore
[14] Vedi: http://www.etstudio.it/mostrasezione.asp?idsezione=mercato%20impianti%20eolici
[15] Fonte: http://www.agoramagazine.it/agora/spip.php?article65
[16] Vedi: http://www.ecoblog.it/post/8957/monaco-di-baviera-dal-2015-ci-sara-solo-energia-da-fonti-rinnovabili

visto su: www.comedonchisciotte.org
Articolo liberamente riproducibile nella sua interezza, ovvia la citazione della fonte